Venerdì, 19 Aprile 2024

Marcinelle, una tragedia che i calabresi non devono dimenticare

Marcinelle, è una piccola località belga del comune di Chaleroi con poco più di venti mila abitanti, che è stata “scaraventata” negli annali della storia per una tragedia che sconvolse il mondo intero. Nel 1956, nella miniera di carbone di Marcinelle, è una piccola località belga del comune di Chaleroi con poco più di venti mila abitanti, che è stata “scaraventata” negli annali della storia per una tragedia che sconvolse il mondo intero. Nel 1956, nella miniera di carbone di Bois du Caizer, un cortocircuito causò un incendio che portò alla morte 262 persone. Solo in dieci si salvarono.marcinelle I minatori rimasero senza via di scampo, soffocati dalle esalazioni di gas. Dei 262 operai mortiben 136 erano italiani. E di questi 136 emigrati italiani, quasi tutti provenienti dal mezzogiorno d'Italia, la metà erano abruzzesi, e buona parte erano calabresi originari di Reggio Calabria, Cosenza, San Giovanni in Fiore, Caccuri, Cerenzia, Castelsilano, Santa Severina, Rocca Bernarda, Savelli, Scandale, di tutta la Sila e dell'intero Marchesato di Crotone.
Quelli erano gli anni in cui dopo la grande guerra il popolo italiano, e sopratutto il popolo del sud lasciava la propria terra per cercare un riscatto e un futuro dignitoso attraverso un costante flusso migratorio verso l'Europa. Marcinelle, è ricordato come uno degli incidenti più sanguinosi sul lavoro, e rappresenta un simbolo di sofferenza e coraggio.
Quei calabresi, costretti a vivere in condizioni disumane, in catapecchie e senza acqua, in una tessitura sociale sporcata da un razzismo diffuso, indotti a lavorare senza diritti, sono l'emblema di una voglia di riscatto e di emancipazione, e che oggi anima i popoli del sud del mondo.
La storia di quei calabresi come quella di migliaia di italiani, non è dissimile da quella che il contesto contemporaneo ci offre. I migranti senza diritti cento anni fa erano i calabresi, e adesso, il popolo pronto ad accogliere è proprio il popolo della Calabria. Corsi e ricorsi e storici che mutano trasversalmente, raccontando storie di emarginazione e diffidenza. Nel lontano 1956, la tragedia di Marcinelle, per la quale nessuno ha mai pagato, fu il vessillo dell'abnegazione dei nostri concittadini che lottavano, con ignobili condizioni di lavoro, per risollevare se stessi e le loro famiglie dalla devastazione del secondo conflitto mondiale. Quelli erano gli anni in cui i locali belgi esponevano i cartelli “né cani, né italiani”, gli anni in cui i migranti erano italiani, erano meridionali, erano calabresi; erano additati come coloro i quali “rubavano” il lavoro locale, invece lavoravano in una situazione di  ipersfruttamento, in termini di condizioni, di orari e soprattutto di salute.            Quell' inesistente organizzazione del lavoro, acutizzata dall' assenza dei diritti politici e sindacali, oggigiorno si ripresenta nelle nostre realtà cittadine. Quei minatori morti a Marcinelle non erano formalmente dei “clandestini”, ma lo erano nei fatti, perché sottratti della possibilità di ribellarsi e di contrattare il presente e il futuro.
Quei minatori erano simili a chi oggi raccoglie i pomodori le arance in Calabria, o è costretto ai lavori più umilianti per poter sopravvivere. Questi uomini e queste donne sono legati da una linea di congiunzione costruita sugli avversi sentimenti di diffidenza, emarginazione e razzismo.