Ecco come lavora la Procura ai tempi del Coronavirus, tra speranze che fioriscono e nuovi fronti.
L’11 aprile 2018 il Consiglio superiore della Magistratura deliberava, all’unanimità, la nomina di Giovanni Bombardieri a capo della Procura della Repubblica di Reggio Calabria. Siamo dunque, a due anni di (instancabile) attività - dopo decisive esperienze nella Locride, nella Procura della Capitale e poi ancora in Calabria, a Catanzaro - alla guida di una Procura, quella reggina, che è senza dubbio tra le più esposte nella lotta contro quel Male, ormai globalizzato, chiamato ‘ndrangheta.
Abbiamo incontrato “virtualmente” il Procuratore – rispettando le limitazioni dovute alla pandemia - per fare il “punto”, tra risultati acquisiti e nuovi fronti.
Non mancano le allerte: il Procuratore conferma e analizza quella lanciata dal Viminale, ad esempio, rispetto a una criminalità pronta a braccare le aziende, ma anche i privati, soffocati economicamente dal blocco dovuto al Coronavirus. E non meno forte è l’attenzione rivolta alla lotta alle mafie sul piano internazionale, riguardo il paventato depotenziamento di uno strumento essenziale per una efficace e coordinata azione di contrasto alla criminalità con i Paesi stranieri: l’EuroJust.
Così come preoccupa ancora l’insufficiente dotazione di organico, specie nella polizia giudiziaria e nella magistratura giudicante, in una procura decisamente “calda” come quella reggina. Un “bilancio” che accende campanelli d’allarme ma, dall’altra, anche concrete speranze.
Perché quella del Procuratore Bombardieri è una analisi puntuale e franca, impreziosita nondimeno da una capacità, tutta personale, di toccare un livello più profondo - squisitamente culturale - che rende conto anche di una più forte consapevolezza del valore irrinunciabile della “libertà”, di cui la società sembra prendere sempre maggiore coscienza, e sulla quale non bisogna smettere di lavorare.
Segnali da cogliere, come fiori sbocciati su un campo di battaglia.
Diamo allora la parola al Procuratore, che ci ha consentito di “entrare” dentro una Procura che ha indossato “guanti e mascherine” e che – tra videoconferenze e rinforzo di canali tecnologici – continua ad operare “senza flessioni e senza pause”.
Gentile Procuratore, in un momento come quello che ha investito non solo l’Italia, oramai, ma il mondo intero, mi viene da chiederle: come si combattono le mafie ai tempi del Coronavirus? Come sono cambiate le sue giornate e come si è riorganizzata la Procura?

Partiamo dalle mie giornate: non sono cambiate molto; continuo ad andare in Ufficio, perché è importante che i colleghi, il personale amministrativo, la Polizia Giudiziaria abbia un riferimento al vertice dell’Ufficio sempre presente. Per il resto è certamente cambiata l’organizzazione dell’Ufficio. È stato sospeso l’accesso fisico dell’utenza agli uffici e si è privilegiato, quale forma di accesso, la comunicazione ed il deposito degli atti a mezzo posta certificata e posta ordinaria; naturalmente salve le urgenze, per le quali è sempre presente e pronto qualcuno. Sono previsti dei presìdi, costituti da Magistrati, e dal personale amministrativo e di polizia giudiziaria di supporto, per le urgenze e le emergenze; sono inoltre previsti dei presìdi per tutti i Servizi relativi alle attività indifferibili: l’attività degli Uffici Giudiziari non può fermarsi. Sia il personale amministrativo che i magistrati lavorano, in via ordinaria e salvi i presidii, da remoto, con possibilità di collegamento in videoconferenza, ove necessario, utilizzando i programmi informatici forniti dal Ministero della Giustizia. Anche il rapporto con la Polizia Giudiziaria dei singoli Sostituti Procuratori avviene in via ordinaria a mezzo telefono e/o videoconferenza. Ma le indagini non si fermano in nessun modo: procedono grazie all’ammirevole sacrificio di tutto il personale della Polizia Giudiziaria che prosegue nella sua attività senza fermarsi, anzi aggiungendo nuovi compiti a quelli già svolti. Con il Tribunale, con gli Ordini degli Avvocati, con la Polizia Giudiziaria, si stanno mettendo a punto dei protocolli per lo svolgimento in remoto delle udienze urgenti e non differibili, quali quelle di convalida degli arresti e dei fermi o con imputati detenuti in fase di scadenza termini, in modo da garantire il diritto di difesa con il diritto alla salute degli arrestati e di tutti gli operatori che intervengono: udienze che prevedono collegamenti audio/video tra il Giudice, il Pubblico Ministero, l’Avvocato, l’arrestato e la Polizia Giudiziaria che ha proceduto all’arresto, ciascuno nel luogo in cui si trova.
Giungono notizie allarmanti - e non solo rispetto alla pandemia che ha travolto (quasi) ogni cosa. Il 28 marzo, dal Viminale, è partita una circolare con oggetto «Rischio mafia più alto per l’economia», un avviso circa più «ampi margini di inserimento per la criminalità organizzata nella fase di riavvio di molte attività». Cosa pensa in merito e cosa può dirci?

Certo non si può nascondere il rischio che corre l’economia legale in tempo di crisi, specialmente in situazioni di blocco delle attività commerciali quale quello attuale. Gli imprenditori, specialmente le piccole aziende, hanno bisogno di liquidità per non fallire ed allora è necessario evitare che diventino facile preda della criminalità organizzata, che si presenta come opportunità economica, con la possibilità di ottenere denaro senza troppe garanzie e burocrazia, e diventa un incubo, che finisce per sottrarre la stessa attività ai titolari. Lo Stato deve essere presente, non abbandonare a se stessi gli imprenditori, ma in questa situazione anche una fetta della popolazione che non ha fonti di reddito garantite, e su cui la ‘ndrangheta punta per far crescere una subdola forma di consenso. In questo momento, oltre a quello dello Stato e delle Istituzioni, è importantissimo il ruolo che può essere svolto, per le imprese, dalle Associazioni di categoria che debbono costituire un riferimento concreto e fattivo per gli imprenditori in difficoltà, e, per la gente comune in grave difficoltà economica, delle organizzazioni di volontariato che debbono essere presenti per canalizzare la solidarietà verso chi ne ha effettivamente bisogno.
Solo a metà marzo, proprio durante i controlli per Coronavirus, è stato rintracciato ed assicurato alla giustizia un latitante sfuggito all’epoca dell’operazione Riscatto. A che punto siamo nella lotta alla ‘ndrangheta? Quali i risultati raggiunti, dal vostro osservatorio privilegiato e rispetto agli obiettivi posti, e quali le sfide ancora da affrontare?
Come dicevo, la lotta alla ‘ndrangheta non si ferma, continua come prima. Risultati importanti vengono raggiunti quotidianamente, alcuni già visibili, altri saranno visibili a tempo debito: ma la lotta continua senza flessioni e senza pause.Certo, bisogna fare il conto con le difficoltà che l’intero sistema giudiziario, e in particolare il sistema penitenziario, affronta quotidianamente. L’emergenza sanitaria attuale non risparmia nessun settore della vita, e, quindi, neppure quello giudiziario.
Le ‘ndrine si caratterizzano per una forte pervasività in molti Paesi del mondo. Al momento, e alla luce delle nuove norme europee che consentirebbero una più snella cooperazione con i colleghi degli altri Stati UE, si può dire di poter agire con armi più affilate contro la ‘ndrangheta, anche all’estero, o serve più coraggio, da parte di chi deve fare nuove Leggi, per facilitare il lavoro degli inquirenti e delle procure?
Come più volte ho affermato, è la storia giudiziaria recente che conferma, ancora una volta, la estrema pervasività della ‘ndrangheta, la sua presenza non solo in Europa ma negli altri Continenti.Lo scorso anno con la “Operazione Pollino - European ‘ndrangheta connection” abbiamo avuto conferma di come ormai la ‘ndrangheta consideri il Nord Europa non soltanto una terra di investimenti finanziari e commerciali; la ‘ndrangheta, ormai, opera direttamente e pianifica le proprie attività illecite in quei territori, in particolare nel campo dei traffici di stupefacenti, sempre mantenendo ben solidi rapporti con il territorio d’origine da cui deriva il proprio potere criminale. Ed è questo che ha creato una nuova sensibilità nelle Autorità e nelle Istituzioni degli Altri Paesi, che in precedenza, probabilmente, non avvertivano la pericolosità di tali fenomeni criminali che lì si limitavano ad investire importanti e rilevanti risorse economiche. Ancora: la scorsa estate è stata realizzata dalla DDA di Reggio Calabria una importante operazione giudiziaria in collaborazione con le Autorità, giudiziarie e di polizia giudiziaria, canadesi: abbiamo avuto conferma della piena operatività in quei territori di veri e propri organismi decisionali della ’ndrangheta del mandamento jonico, che addirittura in quel momento storico, anche in ragione della pressione esercitata dalla magistratura e dalle forze di polizia qui, sul territorio di origine, assumevano determinazioni criminali relative anche al citato territorio di origine. Nel campo della cooperazione internazionale strumenti investigativi fondamentali si sono dimostrate le Squadre Investigative Comuni (SIC o JIT), costituite e composte da magistrati e polizia giudiziaria dei diversi Paesi europei in cui siano contemporaneamente in corso procedimenti penali su ipotesi di reato collegate tra loro.Fondamentale è questo strumento di indagine, perché consente un concreto e continuo svolgimento di attività di indagine, contestualmente, nei diversi Stati, con acquisizione diretta dei risultati investigativi in tempo reale nell’ambito di ciascun procedimento penale, senza necessità di attivare quegli strumenti di cooperazione internazionale come l’Ordine di Indagine Europeo o la rogatoria internazionale che richiedono, comunque, tempi molto più lunghi. Purtroppo si sta assistendo in Europa ad un preoccupante ridimensionamento dell’organismo internazionale che ha rivestito fondamentale importanza nello sviluppo di tali strumenti di coordinamento investigativo: EUROJUST. Giungono voci sul ridimensionamento dei finanziamenti destinati a tale organismo in misura tale da ridimensionare fortemente la sua capacità di azione: e questo ci preoccupa fortemente, perché avrebbe il significato di un rilevante passo indietro nella lotta internazionale al crimine organizzato. Di fronte ad una ‘ndrangheta che sempre più opera all’estero e con organizzazioni estere non si può arretrare sul fronte delle investigazioni internazionali con conseguente forte indebolimento dell’attività generale di contrasto.
Reggio Calabria: si parla di carenza di personale nel settore della Giustizia un po’ ovunque nel nostro Paese. Qual è la situazione reggina, da questo punto di vista?
Il problema della ‘ndrangheta è considerato, purtroppo, unanimemente il problema più grave per quanto riguarda la criminalità organizzata, a livello nazionale e internazionale. Conseguentemente è necessario che le Istituzioni centrali mettano in campo l’impegno necessario per farvi fronte. Occorre, certamente, un potenziamento degli organici della Magistratura giudicante, in quanto la Procura della Repubblica ha un suo organico adeguato, ma occorre ancora di più il forte potenziamento della polizia giudiziaria. In Calabria gli organici della Polizia Giudiziaria non sono sicuramente adeguati per contrastare in maniera decisiva il fenomeno della ‘ndrangheta: numericamente la polizia giudiziaria è, quasi, la metà rispetto a territori in cui oggi la criminalità organizzata non manifesta più quella pericolosità, quella pervasività, che aveva portato lo Stato a rafforzare adeguatamente gli organici.Io non posso che ringraziare tutte le forze dolizia giudiziaria per l’impegno che quotidianamente viene assicurato, ben oltre gli orari di servizio e spesso a discapito, persino, delle esigenze familiari. Così come non posso che ringraziare i loro vertici, provinciali, regionali e centrali, per l’attenzione e la sensibilità con cui affrontano il problema della criminalità organizzata in queste terre, consapevoli della gravità del fenomeno criminale che si affronta quotidianamente.In Sicilia, subito dopo le stragi, lo Stato diede una risposta forte, rafforzando in maniera adeguata le forze in campo, magistratura e forze di polizia, per un contrasto a “cosa nostra” che ha dato i frutti sperati. Bene oggi lo stesso sforzo lo Stato deve spiegare per il contrasto alla ‘ndrangheta.
Zona grigia, colletti bianchi, professionisti insospettabili al soldo dei boss, scambi di voti: lei guida la Procura reggina da quasi due anni. Quale idea si è fatto di questa organizzazione criminale e del suo rapporto con la società, nelle sue più varie sfaccettature?
Quella reggina è una realtà complessa. Sono stati accertati anche in via giudiziaria collegamenti e collusioni di parti della società civile, della politica, delle stesse istituzioni, con la ‘ndrangheta, spesso mediate dalla massoneria deviata, in un tentativo di controllo sociale che certamente ha frenato, nel suo quadro generale, lo sviluppo economico e sociale di questa terra. Oggi sempre di più si avverte dalla società civile la voglia di riscatto, di affrancarsi da vecchie forme di controllo, la voglia di riprendersi la propria libertà in tutti i suoi aspetti, fisici ed economici.Recentemente stiamo assistendo ad un cambiamento importante nell’atteggiamento degli imprenditori reggini verso le Istituzioni. E’ aumentata la fiducia nella lotta che le Istituzioni svolgono contro la criminalità organizzata e più in generale contro l’illegalità. Questo ha portato alcuni imprenditori a percorsi di denuncia contro il giogo criminale che ha soffocato la libera iniziativa economica. Bene, speriamo che gli imprenditori onesti, che hanno subito e subiscono la pressione della ‘ndrangheta, che ne ha limitato fortemente lo sviluppo, proseguano in questo percorso di legalità sentendo al proprio fianco le Istituzioni e la società civile. Purtroppo, però, pure a fronte di questi positivi cambiamenti, ancora oggi assistiamo alla ricerca del consenso politico mediato dalla criminalità organizzata: la politica che si reca dagli ‘ndranghetisti a chiederne l’appoggio elettorale, mettendosi a disposizione in caso di futura elezione.
La nuova Legge sulle intercettazioni. Qual è il suo pensiero circa il nuovo testo ormai vicino ad entrare in vigore?
La materia delle intercettazioni ha sempre costituito e costituisce argomento di dibattito tra gli addetti ai lavori, ma anche nella società civile. E’ evidente la forte compromissione delle proprie libertà che l’individuo si trova a subire in forza del controllo delle proprie comunicazioni. Ma nello stesso tempo si tratta di uno strumento di indagine insostituibile, indispensabile, per l’accertamento di alcuni reati, in particolare in materia di criminalità organizzata, ma anche in materia di reati contro la Pubblica Amministrazione. E allora si tratta di stabilire limiti e modalità nell’utilizzazione di tale strumento di indagine, e non è certamente facile, anche perché, necessariamente, il contenuto delle intercettazioni non è, e non rimane, patrimonio esclusivo di pochi soggetti.
Certamente non si può fare a meno delle intercettazioni, e, recentemente, alcune interpretazioni troppo restrittive delle norme vigenti hanno determinato grossi problemi nella utilizzabilità delle stesse.
La nuova normativa, da un lato con le disposizioni sull’archivio delle intercettazioni e sulla sua tenuta esclusiva da parte del procuratore della repubblica, seppure per adesso nella fase successiva alla chiusura della singola intercettazione, ha voluto dare maggior rigore quale risposta alla generalizzata diffusione del loro contenuto, cui purtroppo a volte si è assistito, dall’altro, in maniera assolutamente condivisibile, con alcune previsioni si è voluto mantenere il rilievo e la utilizzabilità di intercettazioni disposte nel corso di un procedimento penale in relazione, anche, ad altri reati per i quali originariamente non si procedeva, seppure con importanti limitazioni.
I “presìdi della legalità”: parliamo di partiti, associazioni, ma anche di ordini professionali, categorie, organizzazioni sindacali. In una parola: cosa fa la società, quella fatta di persone “normali”, e cosa non fa, per aggredire, nel proprio spazio di vita, la mentalità del silenzio, dell’omertà, della connivenza?
Le organizzazioni di categoria in territori quali il nostro, in cui la pervasività della ‘’ndrangheta è diffusa e fortemente perniciosa, hanno il fondamentale compito di offrire supporto adeguato ai propri iscritti, avviando percorsi di legalità, di rifiuto del controllo ‘ndranghetista, di rifiuto dei compromessi fondati sulla illegalità, che costituiscono un limite pericolosissimo per la libera iniziativa economica. Hanno il compito di stare accanto a chi denuncia, isolando chi ancora oggi mette a disposizione della criminalità la propria attività professionale.
Parimenti la società civile ha un compito semplice e importantissimo: non girarsi più dall’altra parte. Deve scegliere di schierarsi dalla parte della legalità, senza fare finta di nulla, senza ignorare quanto sia grave una condotta di appiattimento sul “quieto vivere”, sullo stato delle cose che “non possono cambiare”; ha il dovere di stare accanto a chi denuncia, a chi trova il coraggio di contrastare la criminalità organizzata; ha il dovere, appunto, di non girarsi dall’altra parte pensando che non sia un suo problema: la ‘ndrangheta è un problema di tutti.
Come vede il futuro di questa terra? Cosa serve, oltre alla repressione, per dare la speranza di potersi un giorno liberare di questa zavorra soffocante e di questa mentalità così difficile da divellere?
La nostra è una terra bellissima, lo dico da calabrese, da reggino. Sicuramente andare nelle Scuole e vedere i ragazzi che si appassionano ai temi della legalità fa sperare bene. Assistere alle numerose iniziative delle associazioni di volontariato ispirate ai temi della legalità, quelle che fanno realmente antindrangheta senza interessi economici, fa sperare bene.Sta cambiando molto, ed io sono fiducioso per un futuro libero, o comunque, meno afflitto dalla presenza ingombrante della ‘ndrangheta. Certo è che il contrasto alla criminalità organizzata, alla ‘ndrangheta non passa solo da operazioni giudiziarie, da arresti e processi. Non può e non deve essere considerato un problema solo delle Forze dell’Ordine e della Magistratura, è, come dicevo, un problema di Tutti. Intanto è un problema politico: è un problema di politica economica; è un problema di politica sociale. Lo Stato deve investire molto in questa terra, deve rendere chiaro quello che solo gli addetti ai lavori sanno: nelle organizzazioni criminali a fronte della ricchezza di pochissimi, che neppure hanno la possibilità di ostentare, ci sta il dramma di tanti, degli stessi associati, che per pochi spiccioli sprecano la loro vita e il futuro dei loro figli nella violenza, nel sangue o, se va loro bene, in carcere.