La macchina da presa come un grimaldello, il cinema come strumento di ‘evasione’.
Non vuole essere un accostamento provocatorio o irrispettosamente sarcastico quello fra la “settima arte” e il carcere, ma l’affermazione di un connubio virtuoso promosso dal governatore Mario Oliverio per promuovere una buona prassi tutta calabrese.

La sestina vincente, il pool di ambasciatori onorari incaricati nel novembre 2017 di comunicare una verità diversa sulla Calabria, annovera il regista pluripremiato Gianni Amelio come mentore internazionale della casa circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, una eccellenza calabrese che si caratterizza per essere, come evidenzia con orgoglio la sua direttrice Angela Paravati, “un servizio sociale e non un carcere fine a se stesso”. Ma la virtuosità del più grande penitenziario della regione (il pedagogista Nicola Siciliani de Cumis, che di recente sulla questione-carceri ha pubblicato per Guida editori “Una scienza in carne ed ossa”, proprio nel carcere di Siano conduce da alcuni anni un corso di lettura e scrittura dai risultati sorprendenti) che dovrebbe contraddistinguere normalmente tutti i centri di detenzione secondo i dettami costituzionali, rischierebbe di restare confinata all’interno delle solide mura perimetrali di via Tre Fontane nel quartiere Siano se non ci fosse qualcuno autorevolmente capace di “comunicare e contaminare”.

Da qui il supporto del film-maker che, con la sua originalità creativa, si incaricherà di costruire un ponte relazionale con l’esterno. Un lavoro difficile, finalizzato non solo a far conoscere la realtà carceraria ma anche a scardinare luoghi comuni dentro e fuori i padiglioni della struttura. La Calabria, terra di ‘ndrangheta può esportare modelli di legalità e di giustizia sociale? E lo può fare con l’aiuto di detenuti? A detta della direzione del carcere e di quanti vi operano pare proprio di sì. Basta non farsi ingabbiare da comodi e soporiferi stereotipi. “Il carcere va inteso non come luogo in cui tutto finisce, ma come luogo in cui tutto ricomincia”. Questa la sfida che la direttrice Paravati condividerà attraverso incontri, lavori comuni e manifestazioni, con il regista originario di San Pietro, frazione di Magisano, un Comune distante meno di 20 km dal carcere.
Difficile riuscire ad agganciare il regista usualmente restio a concedere interviste, ma la direttrice ha saputo che Amelio ha manifestato una grande soddisfazione nel sapere dell’abbinamento alla casa circondariale di Catanzaro nel suo ruolo di ambasciatore. Un’azione diplomatica che sarà “bidirezionale” per portare fuori dal carcere quanto di buono vi viene realizzato e dentro, la società civile per collaborare a creare un percorso rieducativo efficace.

“E’ evidente la sensibilità di Amelio per la realtà penitenziaria – continua la direttrice – presente spesso nei suoi film. Verrà a marzo qui, per conoscere questa struttura, incontrare i detenuti e discutere con loro di un suo libro o di un suo film.” Anche questi progetti contribuiranno a favorire il processo di autocritica e responsabilizzazione dei detenuti nonché di revisione degli errori da loro commessi, per concentrarsi anche sul dolore provato dalla vittima del reato. “Ricominciare – afferma la direttrice – vuol dire anche ripartire dal punto in cui un percorso è stato interrotto, capire il perché, e convincersi del fatto che un’altra strada è possibile”. E se si tratta di una strada di “celluloide” l’orizzonte è in grado di dilatarsi all’infinito e di indicare una nuova vita. D’altronde il regista de “Il ladro di bambini” e “Lamerica” con la sua più recente pellicola dal titolo “La tenerezza” indica un piano inusuale su cui impostare in modo nuovo le relazioni interpersonali.

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