I palmenti, le antiche strutture dedicate alla pigiatura dell'uva nella suggestiva vallata "La Verde" possono divenire importante strumento di promozione del territorio sia sul piano produttivo che su quello turistico nell'ambito di un progetto di aggregazione tra Comuni che veda protagonisti i giovani. Parola del prof. Attilio Scienza, ordinario di Viticoltura all'Università degli Studi di Milano, responsabile di diversi progetti di ricerca nazionali nel campo dell'agronomia e fra i maggiori esperti mondiali di viticoltura. 
Bianco è la cittadina della Doc più antica d’Italia, parliamo di 2500 anni, e come le altre realtà limitrofe presenta significative testimonianze di palmenti, antiche strutture dedicate alla pigiatura dell’uva, oggi riscoperte grazie ad una maggiore attenzione delle amministrazioni e ad un migliore spirito d’intraprendenza, qual è la sua idea progettuale rispetto a questa opportunità?
Qui ci sono dei vigneti che hanno 70, 80, 100 vitigni, una ricchezza unica. Il palmento deve diventare una forma di totem, una specie di luogo di aggregazione. È una occasione da non perdere perché se si riesce a mettere insieme tre, quattro Comuni attorno ad un’idea, potranno ricevere dei contributi ma soprattutto sviluppare un progetto assieme. È importante anche dare vita a cooperative di giovani per creare degli itinerari, portare le persone a vedere i palmenti, raccontare la storia del territorio e del vino, le collezioni delle varie età. I palmenti possono dunque diventare occasione di turismo culturale. E se c’è un progetto ed un’aggregazione di persone, di amministrazioni comunali, io penso che la Regione possa essere disponibile mediante le varie fonti di finanziamento del Psr. I palmenti esistono qui da 2500 anni e potrebbero essere valorizzati nell’ambito di un progetto che può avere delle ricadute economiche per questi territori.
Come è nata la sua intuizione?
Il deus ex machina è il prof Sculli il quale una quindicina di anni fa ha cominciato a trovare questi palmenti. Mi ha coinvolto ed abbiamo fatto escursioni assieme. Come spesso capita, la sua è rimasta una voce nel deserto. Non hanno mai ascoltato. Adesso, a poco a poco, ci si è resi conto che questa è una ricchezza, grazie anche alle analoghe iniziative che vanno fiorendo in altre realtà quali l’Alcantara in Sicilia, zona dell’Etna, e il Gennargento in Sardegna dove insistono diverse testimonianze di palmenti.
Tutta l’Europa è piena di palmenti del Sud come anche Tunisia, Grecia e Turchia. Il palmento può quindi diventare un elemento di integrazione tra tutti questi territori attraversati dalla cultura greca e anche di distinguo tra questa cultura e quella del vino del Nord, dove i palmenti non esistono Si potrà così dire: Noi abbiamo fatto il vino prima che gli altri incominciassero a pensare al vino”.
I palmenti dunque come icona rappresentativa del territorio, elemento identitario che può divenire strumento di promozione e di marketing.
Assolutamente sì. La cosa importante in questo momento è uno studio su questi palmenti. Non abbiamo niente in mano se non uno studio molto primitivo fatto dal prof. Sculli a suo tempo, non da un archeologo che potrebbe servire anche per individuare le differenze che esistono tra i diversi palmenti e tra i vari Paesi. Vi sono palmenti del V secolo a.c. fino al periodo bizantino, V - VI secolo d.c. Ed ancora, differenze tra dimensioni, distribuzione delle vasche, ecc.
Lei come docente dell’Università di Milano s’impegnerà anche su questo versante?
Io svolgo un’azione di stimolatore, questo non è il mio campo. Io mi occupo di didattica della vite, solo che mi appassiona tanto il rapporto con il passato e l’utilizzo, in questa chiave, del passato.
Si è innamorato della Costa dei Gelsomini?
Sì. Tra l’altro, sono cittadino onorario di Bianco, quindi ho doveri istituzionali nei confronti del Comune! La Costa dei Gelsomini racchiude tanta bellezza e storia ma nessuno lo ha mai comunicato! Ecco il palmento può diventare un grande ‘altoparlante’.
Secondo lei, come mettere nero su bianco quest’idea progettuale, visto che alle nostre latitudini c’è un diffuso individualismo ed una marcata difficoltà a cooperare?
Sì lo so. Cominciamo a mettere assieme cinque Comuni attorno ai palmenti. Cosa potrebbero mettere assieme? Intanto una rete d’imprese - un elemento di facile esecuzione. Non costa nulla a produrla e peraltro le reti di impresa chiamano dentro un po’ tutto: la comunicazione, una cooperativa che può seguire la pulizia di questi palmenti; realizzare un corso guidato; formare tre/quattro guide.
Spesso è stato rimproverato ai nostri produttori di aver un approccio antiquato. Cosa bisogna fare per stare sui mercati anche internazionali?
Intanto bisogna pensare di non fare più soltanto vino dolce. Il vino dolce non va più. Il mondo non vuol più vini dolci. Il 10 % ok. Il resto deve diventare vino bianco secco. Ma per fare questo c’è bisogno di tecnologia. Qui non c’è tecnologia perché per fare il vino dolce basta il sole; si fa appassire l’uva, la si pigia con un torchio molto semplice e la fermentazione se la cava per conto suo. Se arriva un vino che ha 10 - 12 gradi di alcool e 70 grammi di zucchero, chiuso in bottiglia, il problema è risolto. Diversamente, se devo produrre un vino bianco, devo avere la pressa giusta, delle vasche termo-condizionanti, dei filtri. Servono investimenti per creare una rete d’impresa ed eventualmente un servizio di vinificazione. Non occorre creare una cantina cooperativa, basterebbe creare una cantina di vinificazione.
Quindi delle strumentazioni cui possano accedere un po' tutti?.
Sì. Si costruisce un locale con delle vasche. Ciascuno prende in affitto la sua vasca, comprata con i soldi dell’amministrazione pubblica, un enologo segue le varie vinificazioni e poi imbottiglia il suo vino secondo standard uniformi di qualità grazie ai Psr che sono strumenti interessanti per questo tipo di interventi ma che, solo qui, nessuno sa che esistono!
Lei torna spesso qui? Cosa le piace di più della Calabria?
Vengo due volte all’anno, non ho molto tempo. È difficile dire cosa mi piace di più di questa regione. La Calabria è bella perché è diversa, e secondo me, anche tutta la parte interna, quella delle montagne, è magnifica e non la conosce nessuno. La diversità che la caratterizza è assolutamente singolare: dal mare fino a oltre 2 mila metri, fin nei boschi del Pollino e dell’Aspromonte.
Se dovesse suggerire una formula, un percorso per cambiare mentalità
È molto difficile. Bisognerebbe che i giovani stessero all’estero dieci anni, tornassero con il cervello ‘lavato’ e cominciassero a fare qualcosa di diverso. Qui c’è troppo atavismo, troppi messaggi vincolanti, una cultura dell’immobilismo. Il primo che si muove ha paura di essere attaccato dall’altro, perché si muove lui per primo. Servirebbe che questi giovani facessero esperienza all’estero per capire come funziona il mondo e poi, una volta ritornati, si lasci loro spazio, e non che vengano isolati perché portano delle novità. È solo un fatto antropologico. Serve un processo di cambiamento lento e progressivo. Qualcosa è già cambiato rispetto ad un tempo. 50 anni fa la Calabria era completamente diversa. Per esempio Gerace, oggi è un gioiello, una cittadina pulita dove ci sono negozi ed attività turistiche.
Qualche germoglio dunque c’è, parlando il linguaggio “agricolo”?!
Esatto. Ma ai germogli bisogna dare da mangiare e da bere, altrimenti seccano e muoiono.
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