«Ho scritto il libro per tutti i lettori che amano la pasticceria e soprattutto per coloro che ancora non lo sanno.
A chi ha voglia di fare, ma ha paura di osare e si ferma al primo ostacolo. Passione ed entusiasmo sono alla base di tutto. Quella passione che ho messo nella realizzazione del libro. Senza la passione non si migliora, non si va avanti, così come nella vita. Quando dico che si può essere liberi, anche se privati della libertà, lo penso veramente, perché l’ho provato e continuo a provarlo grazie alla pasticceria». Lo scrive Francesco Fabio Valenti, detenuto nella Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, nel suo libro “Dolci Creati” pubblicato dalla casa editrice “Città del Sole Edizioni” con prefazione del pasticcere Luca Montersino.
L’idea di mettere insieme in un libro le numerose ricette sperimentate negli anni è nata nel corso delle lezioni di “Lettura e scrittura creativa” tenute nel penitenziario del capoluogo dal professor Nicola Siciliani de Cumis e dalla dott.ssa Ilaria Tirinato, che ne ha curato la pubblicazione.
Sulla scia della straordinarietà delle circostanze, non si tratta di un libro qualunque: a ogni dolce corrisponde un reato.
Sì, avete letto bene, un ricettario con annesso il codice penale.
I profiteroles abbinati all’associazione a delinquere (art. 416 c.p.) poiché è un dolce composto a grappolo quindi inteso come “gruppo”, i saccottini alla pesca accostati al favoreggiamento personale (art. 378 c.p.) che fanno pensare alle merende portate ai ricercati: «Spesso un buon dolce allieta una giornata, fa tornare il buon umore a chi lo prepara e strappa un sorriso a chi lo gusta.
Questo libro – racconta Fabio – ha tutti gli ingredienti per far venire il buon umore e per strappare sorrisi».
La sua tenacia è ammirevole. Pensate a quest’uomo: condannato all’ergastolo, da 25 anni dietro le sbarre, di cui 10 in isolamento. Qualcuno potrebbe pensarlo rassegnato e indifferente. E invece ecco venir fuori una speranza inaspettata, una forza straordinaria, una perseveranza rara finanche nel mondo “libero”. Un’ostinazione e un accanimento che vanno oltre la consapevolezza del “fine pena mai”. Che va oltre tutto. E ci lascia senza parole.
La sua passione, che come spesso capita prima era solo un gioco, è creare dolci, ma in carcere non aveva gli strumenti per dare sfogo a quest’inclinazione artistica. Così iniziò a costruirseli da sé, in cella.
Insomma, non si è mai scoraggiato, davanti a nessuna difficoltà. Questa pervicace forza d’animo – insieme al profumo dei suoi dolci – ha attirato l’attenzione della dottoressa Angela Paravati, direttrice della Casa Circondariale “Ugo Caridi” di Catanzaro, al punto che, nonostante la diffidenza, i numerosi rischi e la mancanza di risorse, si è decisa ad allestire un laboratorio di pasticceria nel circuito di massima sicurezza.
Lo ha fatto sposando l’articolo 27 della Costituzione italiana secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Nell’introduzione al libro, la direttrice commenta così la sua scelta di ottimismo e fiducia: «Si deve riuscire a capire quando è il momento di concedere qualcosa in più.
È necessario prima un lungo periodo di attenta osservazione, perché le opportunità vanno meritate. Il detenuto deve partecipare in modo attivo, deve ritrovare la sua “libertà” all’interno delle mura.
È questa la vera scommessa, anche se non tutti i detenuti sono disponibili a imparare a gestire il loro tempo abbandonando la rabbia, la vittimizzazione, i preconcetti, l’odio.
Il detenuto Valenti ci è riuscito. Alla limitazione della libertà personale dovuta alla pena si è contrapposta la forza interiore della mente ancora piena di vigore nonostante la sofferenza della caduta».
Ne è nata una realtà tutt’altro che anonima e di routine: il laboratorio di pasticceria, ispirato dalla passione di Fabio Valenti, ha tutti i presupposti per realizzare uno degli obiettivi principali dell’attuale Direzione, che è quello di creare il maggior numero possibile di opportunità di lavoro e di contatto con la comunità esterna. Come? «Ampliandolo e strutturandolo con il coinvolgimento stabile di un maggior numero di detenuti, di modo che in futuro potrà anche svolgere attività per aziende del territorio, con distribuzione dei prodotti all’esterno, per rafforzare il legame tra la comunità dell’istituto e la cittadinanza».
Fabio ha avuto una possibilità di redenzione creativa, che non si è conclusa ma aspetta di essere coltivata e perfezionata, stigmatizzando ogni parvenza di repressione fine a se stessa che tende a svuotare l’uomo della sua umanità. «Il mio consiglio – suggerisce la dott.ssa Paravati – è sempre lo stesso, per tutti: non dimenticare mai di essere una persona. Una persona è consapevole del fatto che le proprie azioni hanno delle conseguenze, è consapevole del fatto che si deve imparare dai propri errori e che le opportunità devono essere colte e apprezzate, perché sono rare. Una persona ha rispetto di sé e degli altri. Sono riflessioni che valgono anche per chi in carcere non c’è mai stato».