Il Centro regionale di neurogenetica di Lamezia Terme è un’eccellenza nello studio delle malattie del cervello umano.
A dirigerlo è una donna, Amalia Bruni, una neurologa che nel 1995, insieme ad un team, ha individuato la presenilina-1: il «gene» più diffuso dell’Alzheimer. La dottoressa Bruni è membro del comitato scientifico dell’Istituto superiore di sanità, presidente eletto della SinDem (società italiana di neurologia delle demenze), a Lamezia guida una squadra di esperti e operatori che lavorano in un’ala dell’ospedale Giovanni Paolo II. Abbiamo parlato con la dottoressa Amalia Bruni sulle scoperte effettuate sulla malattia e dell’importanza della ricerca.
L’Alzheimer non è solo una malattia della vecchiaia. Quali sono i dati che emergono sulla malattia?
La malattia di Alzheimer, come tutte le demenze, è prevalentemente una malattia della vecchiaia. Tuttavia esistono forme giovanili (in media intorno ai 40-50 anni l’esordio) che richiedono un’attenzione particolare. Quando parliamo di malattia di Alzheimer ad esordio precoce purtroppo non siamo neanche in grado di conoscerne i numeri perché gli studi sono stati condotti prevalentemente sui soggetti dopo i 65 anni. Molte delle forme precoci (ma non tutte) hanno una causa genetica e in questo caso sono ancora più rare (tra 1 e 5% di tutte le malattie di Alzheimer). Questa rarità è “relativa” in Calabria perché invece esistono moltissime famiglie con la forma genetica. Sono state proprio queste famiglie che hanno permesso l’identificazione della causa genetica completamente sconosciuta fino al 1995. Dunque la nostra terra ha contribuito in maniera determinante a scrivere una pagina di scienza importantissima e che ha permesso anche, nel prosieguo, di capire come la malattia di Alzheimer inizia nei cervelli. I passi futuri importanti riguardano l’identificazione di farmaci per combatterla.
Qual è il ruolo del medico in queste situazioni e nell’approccio con i familiari del malato?
Il ruolo del MMG è quello di sospettare la patologia ai primi “soft” segni, quelli dello specialista dei centri per il deterioramento cognitivo (CDCD) è quello di fare una diagnosi e una diagnosi differenziale visto che le demenze sono tantissime. Qualora il quadro clinico dovesse essere compatibile con il profilo della malattia di Alzheimer è importante iniziare una terapia e attuare una presa in carico. Questo vuol dire seguire il paziente e gestire nel tempo tutti i sintomi e tutti i problemi che arrivano con l’evoluzione della malattia. Il rapporto diviene un rapporto di “famiglia” e lo specialista diviene uno specialista di famiglia. Le relazioni sono dunque “speciali”. Il CDCD, ovvero il centro che ha in carico i pazienti con demenza, deve essere dotato di psicologi e di assistenti sociali che seguono paziente e famiglia assieme al medico. La necessità di fornire informazioni sulla gestione ma anche sostegno per affrontare il difficilissimo percorso della malattia è fondamentale perché tutto il nucleo familiare possa avere una “ buona qualità di vita” nonostante la malattia.
A lei, va il merito di aver individuato il gene dell’Alzheimer. A Lamezia dirige una sua squadra di ricercatori e operatori. Dove può arrivare la ricerca in questo campo e quali i progressi che si sono registrati?
La ricerca è un campo in continua evoluzione ma ricerca può significare ricerca sulla clinica, ovvero rispondere a quali sono i segni inizialissimi di malattia da prendere in considerazione; può significare capire se il quadro clinico delle donne è differente da quello degli uomini ammalati di Alzheimer. Può significare capire molto di più delle cause genetiche di queste malattie e dunque portare alla luce quanto ancora numerosissime siano le patologie che non conosciamo. E se non conosciamo non possiamo “riconoscere” i malati e in generale non troveremo mai delle cure. Oggi sulla malattia di Alzheimer sappiamo moltissimo. Tutto quello che identificavo prima (primi segni, differenze di genere, nuove cause genetiche di malattia, ma anche biomarcatori di malattia) sono ben chiari. Le nuove terapie, su cui abbiamo molto investito in speranza, purtroppo sono fallite e quasi tutti i trials clinici sono stati interrotti. Tuttavia dati importanti arrivano dalla prevenzione. L’attenzione sugli stili di vita, il controllo di fattori di rischio come l’ipertensione, le malattie cardiache, il diabete e l’obesità, attivare il cervello con nuove informazioni ed esperienze e camminare 5 km al giorno, ha la possibilità non solo di ridurre la prevalenza della malattia di Alzheimer e di tutte le demenze ma anche un miglioramento dei sintomi cognitivi nella fasi iniziali di malattia. E’ a costo zero…merita di essere seguita e diffusa.
La sanità calabrese sempre più al centro di problematiche e difficoltà. Qual è il suo pensiero in merito e cosa si potrebbe fare per avere un sistema sanitario efficiente nella nostra regione?
Le rispondo con le parole del direttore scientifico dell’Istituto Mario Negri di Milano, il dottor Giuseppe Remuzzi. In una recente trasmissione televisiva che lo interrogava in proposito ha risposto: “Bisogna fare della Calabria la capitale europea della salute”. Sembra un paradosso in una regione in cui non sono soddisfatti neanche i bisogni elementari eppure è proprio questo che bisognerebbe fare : “rilanciare” invece di chiudere mettendo tappi sulle falle gigantesche; investire in ricerca e quindi in posti di lavoro qualificati. Creare servizi funzionanti sulla base dei reali bisogni dei cittadini. Ovvero programmare sulla base dell’epidemiologia. Rispondere correttamente con programmazioni e servizi alle patologie croniche progressive. Le persone che hanno bisogni di salute vogliono avere medici qualificati, aggiornati e vanno da chi “ne sa di più”. Pensare alto significa non giocare in difesa ma in attacco, guardare al futuro con una visione. In Calabria esistono gruppi e centri di alto livello che possono essere “trainanti” nell’invertire il processo di totale e profonda disaffezione che sta avvenendo nei confronti di tutta la nostra terra, non solo nei confronti della sanità. Sfortunatamente sono isole che non fanno sistema, bisogna invertire questo processo. Ma per sviluppare tutto questo sono necessari più livelli contemporanei di intervento: 1) una “Politica” della nazione Italia che recuperi una visione sul Sud (l’Italia non andrà da nessuna parte se non “recupera” la nostra terra e il Sud più in generale);2) il cambio di mentalità della nostra collettività che deve imparare ad essere propositiva e protagonista (un valido esempio dato in questa difficile fase da “Comunità Competente” , un gruppo di oltre 28 associazioni e singoli operatori della salute che sta proponendo le linee verso cui la nostra sanità territoriale deve muoversi)3) un management regionale capace e che sia in grado di creare un’ amministrazione efficiente con competenze elevate.