Giovedì, 17 Aprile 2025

“Lavorando in sinergia, e abbandonando la sindrome della paura, la questione - migranti può essere risolta”. Parla il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento e presidente della Caritas italiana

“L’errore più grande che corriamo è il rischio di definire emergenza una situazione che ormai c’è; che non è più di passaggio, ma si evolve da anni. Bisogna prendere coscienza e conoscenza della realtà, senza voltarsi dall’altra parte.

Prendere decisioni“L’errore più grande che corriamo è il rischio di definire emergenza una situazione che ormai c’è; che non è più di passaggio, ma si evolve da anni. Bisogna prendere coscienza e conoscenza della realtà, senza voltarsi dall’altra parte. Prendere decisioni che non siano momentanee o ‘toppe’, ma siano importanti per il futuro e soprattutto pianificate con razionalità”.

Papa Francesco accorso a Lampedusa subito dopo la tragedia che  ha visto il naufragio di una imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti avvenuto il 3 ottobre 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa. Il naufragio ha provocato 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti: “numeri – spiega Wikipedia - che la pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall'inizio del XXI secolo”. Papa Francesco accorso a Lampedusa subito dopo la tragedia che ha visto il naufragio di una imbarcazione libica usata per il trasporto di migranti avvenuto il 3 ottobre 2013 a poche miglia dal porto di Lampedusa. Il naufragio ha provocato 368 morti accertati e circa 20 dispersi presunti: “numeri – spiega Wikipedia - che la pongono come una delle più gravi catastrofi marittime nel Mediterraneo dall'inizio del XXI secolo”.



Lo dice, in quest’intervista, l’arcivescovo metropolita di Agrigento, il cardinale Francesco Montenegro, presidente della Caritas italiana e presidente della Commissione episcopale per il servizio della carità e la salute. Padre Franco (è così che gli piace farsi chiamare) è giunto a Reggio Calabria per partecipare ad un “confronto” organizzato dall’associazione “Nuova Solidarietà” sul tema di stringente attualità: “Migranti, tra accoglienza ed indifferenza”. Un appuntamento arricchito dai contributi del presidente nazionale dei diaconi Enzo Petrolino, del direttore della Caritas di Reggio Calabria don Nino Pangallo, del direttore dell’ufficio ‘Famiglie’ della diocesi reggina don Simone Gatto, del sindaco Giuseppe Falcomatà e del prefetto Michele di Bari. Il cardinale Montenegro è da anni impegnato, attraverso il suo ministero episcopale in Caritas, sul fronte dell’accoglienza dei migranti. Si contraddistingue per un genuino “low profile” e per una forte carica umanitaria. Prima di partecipare al programmato incontro, ha insistito per visitare il centro di pronta accoglienza di “Nuova Solidarietà”, la “Casa della Solidarietà” dove gravitano i poveri del territorio. Mai retorico o scontato, sua eminenza Montenegro non interviene sul delicato argomento dell’accoglienza con lo sterile tentativo di offrire soluzioni ad un fenomeno di portata globale, ma cristallizza, attraverso testimonianze toccanti e caritatevoli, il senso profondo dello spirito civico e cattolico di una comunità che è in grado di accogliere ed ospitare dei fratelli sconosciuti. Viaggia solo, e con mezzi pubblici. Arrivato a Messina da Agrigento, ha traghettato in aliscafo per poi raggiungere la piccola frazione di Salice con il “passaggio” di Enzo Petrolino.

Eminenza, la Calabria, ed in particolar modo Reggio Calabria, da un po’ di tempo è la più esposta nell’accoglienza dei migranti. Avverte il rischio che il sistema di accoglienza collassi?

Il cardinale Montenegro nell’intervista spiega che a proposito dei migranti “occorre allontanare con fermezza la sindrome della paura. E ribadisco l’importanza di lavorare in sinergia tra enti e tra istituzioni. Verticalmente ed orizzontalmente”. Il cardinale Montenegro nell’intervista spiega che a proposito dei migranti “occorre allontanare con fermezza la sindrome della paura. E ribadisco l’importanza di lavorare in sinergia tra enti e tra istituzioni. Verticalmente ed orizzontalmente”.



“L’errore più grande che corriamo è di definire emergenza una situazione che ormai c’è, che non è più di passaggio me si evolve da anni. Bisogna prendere coscienza e conoscenza della realtà, senza voltarsi dall’altra parte. Prendere decisioni che non siano momentanee o ‘toppe’ ma siano importanti per il futuro e pianificate con razionalità. E questa sfera di intervento non deve e non può riguardare esclusivamente il mondo istituzionale, ma deve interessare la stragrande maggioranza delle comunità civili. Lavorando in sinergia anche i problemi apparentemente insormontabili, possono essere risolti.”

La sensazione, però, è che le comunità, anche le più “accoglienti”, come Reggio Calabria, non ce la facciano a sopportare il peso dei tanti sbarchi e dei tanti immigrati che approdano in città…

“Intanto, occorre allontanare con fermezza la sindrome della paura. E ribadisco l’importanza di lavorare in sinergia tra enti e tra istituzioni. Verticalmente ed orizzontalmente. Le soluzioni ci potrebbero essere semplicemente abbassando la quota migranti per ogni comune che dovrebbe accoglierli e, contestualmente, aumentare il numero dei comuni disposti ad accoglierli. Su quest’ultimo aspetto, a mio modesto avviso, si dovrebbe lavorare di più. Ma prima di ogni cosa, dobbiamo sconfiggere la ‘paura’ dell’immigrato. Una falsa paura, in realtà si ha timore della povertà, perché denuncia chi siamo...”

La Chiesa cosa sta facendo per partecipare alla gestione della situazione attuale che vede il nostro Paese accollarsi quasi da solo il carico dell’accoglienza?

La sala gremita dell’incontro organizzato a Reggio Calabria da “Nuova Solidarietà” sul tema “Migranti, tra accoglienza ed indifferenza” al quale ha preso parte il cardinale Francesco Montenegro. La sala gremita dell’incontro organizzato aReggio Calabria da “Nuova Solidarietà” sul tema “Migranti, tra accoglienza ed indifferenza” al quale ha preso parte il cardinale Francesco Montenegro.



“Intanto, la Chiesa siamo noi. Noi comunità, noi cittadini, noi volontari del terzo settore. Certo è che un cristiano non può fare la comunione, se poi, fuori dalla chiesa, ignora l’immigrato, o addirittura, lo denigra. La Chiesa deve aiutare ognuno di noi a chiedersi: quale futuro voglio? Perché, il nostro futuro comincia oggi, e se oggi non ci proiettiamo in avanti, inuna società italiana ed europea che sta invecchiando e che ha bisogno di nuove mani e nuove menti, ci ritroveremo, in pochi anni, in una condizione di disagio e degrado sociale.”

Integrazione e accoglienza, due facce della stessa medaglia?

“Assolutamente sì. Accoglienza non è solo garantire un pasto caldo, un letto o una doccia. È molto di più: è aprire la porta del cuore. E’ la capacità di far vivere unicamente il sentimento della speranza e della carità; la speranza per colui che arriva e la carità per colui che è pronto a fare abitare chi arriva nel proprio cuore. L’integrazione invece è riuscire a capire cosa si ha in comune con l’ ‘altro’, per fare un pezzo di strada assieme. Perché, se così non fosse, allora parleremmo di tolleranza.”

Lei ha assistito da vicino alla strage di Lampedusa, il 3 ottobre del 2013, in cui persero la vita 368 migranti. Che ricordi ha di quella drammatica vicenda?

Petrolino, Scopelliti,Di Bari,Montenegro,Falcomatà,Don Simone Gatto,Don Nino Pangallo Petrolino, Scopelliti,Di Bari,Montenegro,Falcomatà,Don Simone Gatto,Don Nino Pangallo



“Non mi vergogno a dirlo: già la notte dopo scrissi al Papa. Fui colto da una crisi religiosa. Scrissi chiedendo a Sua Santità come avrei fatto a spiegare ai miei concittadini, ai miei fedeli, a chiunque me lo avesse chiesto, dove trovare il coraggio della fede dopo tanto strazio, tanto dolore, tanta morte. Se Dio c’è, gli domandai, come ha potuto permettere una tale atrocità? Il Papa mi rispose che da lì a qualche giorno sarebbe atterrato a Lampedusa e avremmo pregato insieme per i nostri fratelli, povere vittime del mare e di una speranza tradita. Di quelle tristi ore di quattro anni fa, ricordo i pianti disperati dei soccorritori, ricordo le lacrime versate in quel gommone, impegnato anch’io con un cordone robusto a tirare le salme; ricordo i cittadini lampedusani darci una mano in un clima surreale e di disperazione. Della visita di Papa Francesco, camminando tra le 368 salme, ricordo le sue insistenti e ripetute parole ’Quanta sofferenza…Quanta sofferenza’; ma ricordo anche le parole che rivolse a tutti i soccorritori: ‘Ricordate, chi non sa piangere non sa amare!’ ”