Martedì, 23 Aprile 2024

Intervista a Rocco Familiari, in libreria con Donna Brigantia e altre storie, Marsilio editore

Donna Brigantia e altre storie. E’ questo il titolo del nuovo libro di Rocco Familiari, scrittore e drammaturgo di origine calabrese.

Si tratta di ventisette racconti, “un personale Spoon River di un piccolo paese della Calabria rurale...un affresco del secondo dopoguerra  nel Sud–Italia, il racconto incantato di un tempo perduto....“: così, nelle note editoriali di Marsilio, la prestigiosa casa editrice veneziana per la quale, dal 2006 al 2017, Familiari ha pubblicato L’Odore - il cui omonimo dramma è andato in scena al Festival dei due Mondi di Spoleto per la regia di Augusto Zucchi, con Enrico Lo Verso,  Il Sole Nero -da cui è stato tratto il film diretto da Krzysztof Zanussi, interpreti Valeria Golino e Kaspar Capparoni,  Il ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia,  Il nodo di Tirone, e  Per interposta persona, l’ultimo romanzo.  

"L'Odore"_Copertina

Per la stessa casa editrice, nel 2010, Familiari ha tradotto Il diavolo in corpo, di Raymond Radiguet. Lo scrittore, infatti, è anche fine traduttore, e nel 2017 ha pubblicato una sua versione integrale con commento critico del Woyzeck di Georg Büchner,  per la collana di Studi di Teatro Contemporaneo e Cinema edita da Pagine.

Quella di Rocco Familiari è una biografia di tutto rispetto: nel 1976 ha fondato il Festival Internazionale del Teatro di Taormina, che ha diretto fino al 1980, è stato anche Direttore artistico del Teatro Struttura di Messina, Consigliere di Amministrazione dell’Ente Teatrale Italiano, dell’Istituto del Dramma Italiano, e Presidente del Comitato Regionale RAI della Sicilia. Ma è, soprattutto, autore teatrale di vaglia, rappresentato più volte al Festival dei due Mondi di Spoleto, e apprezzato, tra gli altri, da Aldo Trionfo, il più raffinato regista teatrale del ‘900, che lo ha definito “drammaturgo dotato di rara padronanza della parola teatrale“. Nel 2005 Il Presidente della Repubblica gli ha conferito il Diploma di Benemerito della Cultura e dell’Arte.  

A questa carriera, Familiari ha affiancato quella di manager nel settore pubblico, è stato, tra l’altro, Dirigente Generale INPS, Presidente IPSEMA e INPDAP, dopo essere stato docente di Diritto del Lavoro e Legislazione sociale nell’Università di Messina dal ’65 al ’70.

Il  paese di cui si legge nelle note editoriali è – presumibilmente - Melito Porto Salvo, dove l’autore, nato ad Addis Abeba e ormai da circa quarant’anni residente a Roma,  ha vissuto da giovane. Nel libro ci sono anche “escursioni” narrative a Gambarie d’Aspromonte e a Pentadattilo (o Pentedattilo, secondo la diversa  lectio che ha dato vita a una disputa linguistica ancora non sopita), la bella foto di copertina, di cui è autore Fabio Orlando, è uno scorcio di questo borgo.

Rocco Familiari con Krzysztof Zanussi

I personaggi dei racconti hanno quasi tutti soprannomi molto singolari, Tirebouchon, Cacasuci,  Cavaddhara, Demi-vierge, Gnarru, Peppelatru, Minni ‘i petra, Occhibelli ..., nomignoli che ne identificano i tratti e le vicende di vita. La narrazione si caratterizza per uno stile di scrittura fluido, reso particolarmente accattivante dall’ironia e dall’umorismo mordace dell’autore. E’ il caso, a esempio, del racconto Gli Zebedei, in cui narra di un padre, Zebedeo, il quale non rassegnandosi al fatto che i suoi figli vengano associati a precisi “ambiti” anatomici, si lancia in un’ indagine glottologica sulla verità storica del termine zebedeo: il suo accorato fervore linguistico diventa occasione di dettagliate analisi semantico-epistemologiche, in cui l’autore utilizza un’arguta strategia narrativa che conduce a un crescendo di dirompente umorismo, che, peraltro, mai scade nell’ineleganza, nonostante ... l’area d’indagine. Per rimanere in tema, tra i primi a farsi avanti nella galleria dei personaggi,  è Arzabandera:  “ il nome, Firmato, gli era toccato in sorte alla fine della Grande Guerra, come a tanti altri neonati di famiglie contadine analfabete, le quali interpretarono il “Firmato Diaz” del bollettino della vittoria come nome e cognome del generale che aveva condotto le operazioni militari. Il soprannome invece, se l’era guadagnato da solo, appena venuto fuori dal ventre materno....”   : ai lettori la scoperta dell’origine del  vessillifero soprannome.

Incontriamo Rocco Familiari.

E’ legittimo ipotizzare che Donna Brigantia e altre storie contenga un “racconto” trasversale, subliminale, che parla del tuo rapporto con la Calabria ?

Copertina di Donna Brigantia e altre storie. Foto di Fabio Orlando

Non solo è legittimo, direi che è … obbligatorio. Le storie sono nate di getto, all’inizio senza un piano preciso, poi si sono composte da sole, a descrivere, anzi a evocare, un mondo che non esiste più, al quale, malgrado gli anni trascorsi e la lunga assenza -come ricordavi tu, quarant’anni - sento di appartenere. In precedenza avevo già, se non saldato, almeno in parte pagato il mio debito nei confronti di un luogo, una temperie, delle persone che hanno contribuito, nel bene e nel male, a formarmi : il mio secondo romanzo, Il sole nero, tratto da un precedente dramma, Agata (dato allo Stabile di Messina e nei castelli della  Calabria per la regia di Walter Manfrè, con Vanessa Gravina – n.d.r.), era ambientato proprio negli stessi luoghi, ed era anche il tentativo, non so quanto riuscito, di prendere in qualche modo le distanze da un mondo al quale, ripeto, appartengo inesorabilmente, ma da cui mi dividono una infinità di cose. Anche il lungo racconto Il ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia fa parte di quello che si configura, se vuoi, come un ciclo.

Herta Müller, sostiene che “scrivere è una necessità interiore contro una resistenza interiore”... : è accaduto anche a te,  per questo libro?

Sicuramente. Per questo, come per i libri precedenti o le commedie. Per le Storie però la resistenza interiore è stata vinta agevolmente, dato che la scrittura procedeva quasi per conto suo, tant’è che alla fine temevo che il risultato non potesse essere buono. I vari personaggi mi si presentavano ogni mattina, col loro soprannome, con un brandello di storia, di ricordo, e pretendevano di essere costruiti o ricostruiti.

Il pittore Francis Bacon scrive una dedica a Rocco Familiari. Dell'incontro col grandissimo artista inglese Familiari scrive nel suo libro 'Per interposta persona'

E io ubbidivo, visto che loro erano “in cerca di autore”... : la citazione, anche se scontata, è d’obbligo. A un certo punto, però, dopo più di un mese – i racconti li ho scritti durante l’estate di tre anni fa – ero come soffocato, non riuscivo a sottrarmi alla loro tirannia, tant’è che per liberarmi da quella che era ormai diventata un’ossessione, ho deciso di riprendere un vecchio progetto, che avevo lasciato cadere, la traduzione e il commento del Wozzeck -come sai, preferisco questa accezione, usata solo da Berg nella sua opera lirica, a quella usuale, Woyzeck - un lavoro immane, perché a parte la traduzione, condotta sul facsimile dei frammenti originali, ho fatto un’accurata ricognizione di tutte le varie interpretazioni che nel tempo si sono date del capolavoro di Büchner, che è all’origine della drammaturgia moderna. Questo impegno mi ha consentito però di … sfuggire a Donna Brigantia & company.     

Ma presto sei stato nuovamente ...fagocitato, e non a caso, perché la scrittura - è sempre la Muller che lo sostiene- “s’impossessa dell’autore”, espropriazione-appropriazione comunque positiva perché sei riuscito a cogliere l’essenza dei personaggi e a renderli quasi visibili a chi legge....

 La visibilità di cui parli tu e che io, senza falsa modestia, riconosco essere un tratto caratteristico di tutti i miei personaggi, di quelli raccontati e di quelli messi sulla scena, ritengo sia un portato della mia natura di fondo:  sono essenzialmente un drammaturgo dunque ragiono, penso, sento, e rappresento, da drammaturgo. E quando in un racconto, o in un romanzo, faccio dialogare due o più personaggi, devo stare molto attento a non farmi prendere la mano, perché ... precipiterei di slancio nella buca del palcoscenico. Una volta evitato però questo rischio, rimane, anche nelle mie prove narrative, questa visibilità che potrei anche chiamare vitalità, dei protagonisti, anche secondari, delle varie storie. E’ forse la ragione per cui quasi tutti i narratori ambiscono a trasferire i loro personaggi sul palcoscenico, sperando così che il … cambio di residenza dia loro quella vivacità che non possiedono. Accade non solo ai mediocri, ma anche ai grandi scrittori.

Mi pare che al fascino del teatro non sia sfuggito nemmeno il tuo amico Stefano d’Arrigo autore di quel capolavoro assoluto che è Horcynus Orca...

Vero. Stefano aveva un desidero spasmodico di ridurre per la scena il suo immenso lavoro. Voleva che lo facessimo insieme, continuava a chiedermelo, e io gli rispondevo invariabilmente che la cosa era oggettivamente impossibile, scrivendo io una commedia in venti giorni, o poco più, e lui un romanzo in venti anni … Alla fine, come sai, accettò la proposta di un onesto, ma anche modesto adattatore, e il risultato non fu esaltante.

Se non ricordo male, la tua obiezione di fondo era però un’altra....

Per interposta persona_Copertina

Infatti. Ero convintissimo che il suo lavoro non sopportasse manomissioni, tant’è che avevo proposto a Ronconi (all’epoca Familiari dirigeva ancora il Festival Internazionale del Teatro di  Taormina – n.d.r.) che amava il testo, di metterlo in scena integralmente: lo spettacolo sarebbe durato dieci serate. Il progetto poi non ebbe seguito perché per ragioni di lavoro lasciai la Sicilia e il Festival. Riuscii soltanto a far leggere in forma scenica tre capitoli del romanzo a quel grande regista, horcyniano anche lui, che fu Orazio Costa, in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Messina all’autore.   

Tutti i personaggi di cui scrivi in questo tuo ultimo libro, hanno delle precise corrispondenze, o affinità che dir si voglia, con persone realmente vissute; ricordo però che qualche anno fa, in un altro tuo bel racconto, Dorfmusikanten, ti ponevi un problema, e cioè “fino a che punto è possibile distinguere, nella massa di ricordi che formano sostanzialmente la struttura di un uomo, personaggi reali da personaggi di fantasia”....

Sì, questa incapacità di distinguere la realtà vissuta da quella immaginata, che, man mano che passa il tempo, diventa sempre più marcata, è una costante della mia scrittura. Ricorderai che il lavoro teatrale, Circuito chiuso (andato in scena nel 1992 con il titolo Il Presidente, per la regia di Zanussi, con Raf Vallone, e che  insieme a Don Giovanni e il suo servo, è  il testo più importante della produzione drammaturgica di Familiari - n.d.r.) è tutto basato sul rapporto fra reale e immaginario, cioè sulla possibilità di confondere i due piani, con conseguenze quanto mai inquietanti. In queste storie l’intreccio fra il ricordo di persone realmente conosciute, stimolato appunto a volte da un soprannome o da un particolare rimasto impresso nella memoria, che so, un sapore (in questo caso non sarebbe  quello della madeleine proustiana ovviamente, ma della ’nduja…), un odore (la zagara, il gelsomino...) e la realtà, soltanto immaginata, è talmente inestricabile che, anche sforzandomi, non saprei più dire dov’è il confine fra i due mondi.         

Il racconto L’Aspettatore ha un timbro molto diverso da quello degli altri; il tema centrale è l’attesa, che, in fondo, è cifra dell’esistenza umana. E sembra echeggiare un altro tuo racconto che hai pubblicato con Marsilio, Il ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia: anche lì i messaggi  tornavano indietro...

E’ così. Mi angoscia da sempre il pensiero che si può trascorrere l’intera esistenza in attesa di qualcosa che non accadrà mai, di una persona che non apparirà mai. Ti dirò che quando ho letto per la prima volta il testo “canonico” sull’attesa, En attendant Godot, in qualche modo mi ha deluso – ti prego di non fraintendermi: è un’opera geniale – perché rendeva visibile, quasi le dava corpo, un’inquietudine che espressa, tirata fuori dai recessi della coscienza in cui si annida, ipostatizzata addirittura come una situazione esistenziale comune, veniva in qualche modo esorcizzata, rischiando, come in effetti è avvenuto, di diventare uno stereotipo. 

Nelle note di copertina de Il ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia, si legge che “La musica è il filo che unisce i racconti di questo volume” ; qual è, invece il filo conduttore dei racconti di Donna Brigantia e altre storie ?

All’inizio, quando ho cominciate a scriverli, non c’era alcun progetto e quindi nessun filo le univa. E’ venuto fuori alla fine, almeno per quanto riguarda il corpus centrale, esclusi cioè gli ultimi due, L’Aspettatore e Il necrologista, che fino alla fine sono stato in dubbio se inserire o no nella raccolta, considerata la loro evidente estraneità alla ragione generatrice, diciamo così, delle altre storie; ma poi non ho voluto rinunciarvi perché mi sembravano storie ben riuscite. E comunque, più che di un filo conduttore parlerei di una trama, come quella che consente di tessere un arazzo o un tappeto, entro cui si dispongono queste piccole storie disegnando un “affresco” o un “microcosmo” (sono i termini usati dai primi critici che ne hanno scritto), attraverso episodi in apparenza marginali, con personaggi tratteggiati per così dire “di scorcio”, e azioni che assumono anche  dimensioni “epiche” - penso a Giuditta -  senza, presumo, la quasi mai evitabile “aura” retorica che la “nostalgia” si porta appresso.

In qualche tuo racconto, di fronte alla disonestà del singolo e all’ipocrisia epocale di qualche Istituzione, si avverte un certo spirito sardonico che, per quanto susciti il sorriso, vale più di mille critiche....

Com’è noto, la sola arma di cui, da che mondo è mondo, dispongono i sudditi nei confronti dei tiranni, è l’ironia, la satira, il sarcasmo. E non c’è dubbio che di fronte alla burocrazia, all’Istituzione, al malgoverno, alla corruzione, siamo tutti sudditi impotenti. Se si è Kafka, si scrive il Processo o il Castello; se non si è Kafka (ed è terribilmente facile non esserlo …), si cerca comunque un modo per sopravvivere ridendo o sorridendo. Pochi sanno, peraltro, che quando lo scrittore boemo leggeva stralci di ciò che andava scrivendo ai suoi amici - primo fra tutti quel Max Brod a cui dobbiamo la salvezza dei manoscritti che Kafka aveva disposto fossero bruciati dopo la sua morte -  sia il lettore sia gli ascoltatori ridevano come matti …; oggi non riusciamo più a riderne, anche perché, nel tempo, le situazioni narrate da Kafka si sono rivelate altamente, e drammaticamente, reali.  

Secondo Walter Pedullà,  Il mondo visto da sotto,  “ nel Sud ci sono psicologie contorte quanto i pirandellismi “... : sei d’accordo ?

Rocco Familiari col Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi

Come non essere d’accordo col principe (anzi, data l’età, col Re …) dei nostri critici letterari, degno erede del suo maestro Debenedetti ? Pirandello è nato a Girgenti, ma sarebbe stato lo stesso se fosse nato a Siderno (il paese di Pedullà …) o a Melito. I “contorcimenti” sono un connotato strutturale della psicologia meridionale, tanto più esaltati quanto più si è costretti a vivere nella situazione di emarginazione economica e sociale a cui decenni di mal politica hanno ridotto il Sud. Quando ci si allontana (pur con tutto il corredo di dolore che il distacco comporta), quelle contorsioni dello spirito in parte si placano, specie se si riesce a porsi degli obiettivi ambiziosi da raggiungere, sia positivi – la maggior parte dei posti di comando nei  settori più vari sono retaggio di meridionali – sia, purtroppo, negativi, come nel caso del dominio internazionale  della ’ndrangheta 

Personaggio contorto, o comunque singolare, è Il Necrologista, follemente appassionato a una « letteratura di nicchia ( anche se sarebbe più appropriato definirla  di ... loculo ) » :  un personaggio che ti fa sfoderare, e di buon grado per quanto si percepisce,  il gusto per il paradosso, oltre all’ironia. E’ vissuto realmente ?

No, insieme con L’Aspettatore, è interamente frutto di immaginazione; come si legge a volte nelle controcopertine  o nei titoli di testa dei film, “qualsiasi riferimento a situazioni o persone realmente vissute è del tutto casuale…”. Devo confessare che mi sono divertito assai scrivendolo. Man mano che procedevo mi rendevo conto di quanto il mio personaggio “paradossale”, secondo la tua azzeccata definizione, agisse con lucida, ovviamente folle, razionalità. La conclusione del racconto è … provocatoria, ma la situazione in qualche modo è verosimile, e torniamo al rapporto fra realtà e immaginazione. Credo che ci siano, effettivamente, persone che ostentano relazioni inesistenti con personaggi illustri, andando ai loro funerali e spendendo soldi per i necrologi …    

Un bel personaggio, femminile, è quello della marinaia Giuditta, donna di grande temperamento...

Devo confessarti che ogni volta che lo rileggevo, durante la correzione delle bozze – per inciso, questo libro è stato il più faticoso sotto questo punto di vista:  la facilità e felicità della scrittura avevano come effetto collaterale un’infinità di refusi ... – arrivato al punto in cui le marinaie decidono di aiutare Giuditta a ritrovare il suo uomo disperso in mare, disobbedendo ai mariti o padri che vigliaccamente si erano rifiutati di farlo, cominciavo a piangere: segno che il racconto prende o … indice di rimbambimento senile?

Evviva l’autoironia ! “ Giuditta” è anche un racconto che si presta bene a essere recitato, infatti è stato portato in scena due anni fa, proprio nell’anfiteatro di Pentadattilo, da Mita Medici accompagnata dalla fisarmonicista Saria Convertino...

.... e a marzo dell’anno prossimo verrà letto al Conservatorio Santa Cecilia di Roma, sempre da Mita Medici. L’accompagnamento musicale sarà invece curato da vari musicisti: la composizione coinvolge più strumenti, l’organo,  la viola, la fisarmonica e le percussioni. Le musiche saranno composte appositamente dal Maestro Ruggeri.

I personaggi che descrivi in questo libro, oggi non si troverebbero più nella realtà, sono “reperti” di un tempo passato .... : anche incantato e perduto ?

Un tempo passato senz’altro, perduto quasi interamente, incantato non saprei. E’ vero che nel ricordare tendiamo inconsciamente ad alleggerire il peso dei fatti accaduti, a stemperarne gli aspetti più drammatici, a farci una ragione anche delle tragedie, ma non sempre il “gioco” riesce. Realtà come quelle descritte nelle due storie che definirei “grottesche”,  ‘I strambi e I miserabili, ricostruite sulla base di situazioni effettivamente esistite, hanno poco di “incantato”. La verità è che se non disponessimo delle armi formidabili di cui ci ha dotati l’istinto di sopravvivenza, difficilmente potremmo sopportare i colpi che il Fato, cieco e sordo oltre che feroce, ci assesta. E fra queste c’è senz’altro la capacità di ricordare nel modo che vogliamo, e come desideriamo. ....

E forse è questo, che può rendere incantato il tempo del ricordo.... Tu come drammaturgo hai fatto esplodere i lati oscuri dell’umano, e lo fai anche come scrittore, seppur in modo apparentemente “leggero” ...

Locandina russa de L'Odore, regia di Krzysztof Zanussi, teatro U Mosta di Perm

E’ difficile cambiare natura, anzi impossibile. Del resto non è che nei miei lavori precedenti, soprattutto nei testi teatrali, non ci fosse anche la giusta dose di ironia, quella che, come insegna Shakespeare deve equilibrare le situazioni più drammatiche. Non ho bisogno di ricordarlo a te, che hai scritto quella bellissima raccolta di saggi dedicati alla mia drammaturgia, Eros e Thanatos, nelle edizioni della benemerita Qualecultura. Come sai, ho scritto due “commedie”, in senso proprio, L’altra metà ( prodotta dallo Stabile di Catania per la regia di Maccarinelli, con Amanda Sandrelli e Blas Boca Rey - n.d.r.) e La prova d’amore, (ancora non rappresentata - n.d.r.) , e in queste storie, l’amalgama riso-pianto forse è riuscito meglio.  

Donna Brigantia e altre storie si stacca dal resto della tua produzione narrativa, che Walter Pedullà ha definito “urto esplosivo di immagini e di sentimento.... un costeggiare il baratro....

Non c’è dubbio. Anche se alcuni tratti sono assolutamente riconoscibili come tradizionalmente miei, soprattutto, e sarebbe strano il contrario, il linguaggio. Traducendo liberamente l’aforisma di La Bruyere, Le style c’èst l’homme meme , L’uomo è il suo linguaggio, figuriamoci quanto è più vero per uno scrittore! In queste storie vi è una sorta di esplosione liberatoria. Le ho scritte senza un programma, senza un fine, così, per il solo gusto di dar vita a questi personaggi che, come ti ho detto, “bussavano” insistentemente ogni mattina alla porta del mio studio, obbligandomi ... ad aprire. Poi, man mano che andavo impetuosamente avanti, ho cominciato a rendermi conto che forse, se non era chiara a me, lo era a loro, la ragione di tanta insistenza. Alla fine, durante il lavoro di revisione e soprattutto durante la correzione delle bozze, ben otto,  questa ragione si è chiarita anche a me, ma solo in parte, per fortuna. Guai se l’autore capisce tutto quello che ha fatto: significa che non ha creato nulla che lo trascenda, perciò si è fermato al già noto; ricorderai che questo concetto è stato oggetto della bella conversazione con Aldo Trionfo (in Appendice nel volume Teatro, edito da Gangemi, che raccoglie la produzione drammaturgica del Nostro - n.d.r.), in occasione della prima messinscena del mio  Don Giovanni e il suo servo. Credo che io e i miei personaggi volessimo riempire dei vuoti, colmare delle lacune, non saprei se soltanto della memoria o addirittura esistenziali. Si dice – e io ci credo fermamente – che è solo scrivendo che i fatti acquistano consistenza, realtà. Ecco, forse tutte queste storie erano rimaste in aria, incompiute, le avevo vissute (o immaginate) superficialmente e chiedevano di essere aiutate ad acquistare un senso. Di più, davvero, non saprei dirti. 

Ricorderai che secondo Ionesco se è assolutamente necessario che l’arte serva a qualcosa, deve comunque servire a insegnare alla gente che ci sono attività, come la scrittura, che magari servono a nulla, ma è indispensabile che ci siano ....

Il ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia _Copertina

Senza sapere che Jonesco avesse detto ciò - ma, del resto, si tratta di un assioma che tutti gli artisti sentono intimamente - nella mia prima opera narrativa, La regina della notte, pubblicata da una preziosa casa editrice, ormai scomparsa, Shakespeare & Company, vi è una conversazione fra un musicista e una signora, cerco di ricordarla ...: «Lei: A cosa serve la musica? Lui: Assolutamente a nulla, come le farfalle » . La verità, amara, almeno per me, è che la risposta è esatta: vi sono miliardi di persone nel mondo che non sanno neppure che sia esistito Mozart (lasciando stare Mahler o Berg ...) e sopravvivono tranquillamente, e vi sono centinaia, se non migliaia, di specie di farfalle che si sono estinte senza che la maggior parte di noi se ne sia accorta. La tragedia del nostro tempo, o meglio, una della tante, visto che da sempre la storia dell’umanità niente altro è che un susseguirsi di tragedie, grandi o piccole, collettive o individuali, è l’indifferenza rispetto a ciò che accade intorno a noi. Probabilmente si tratta di una difesa, un modo per non rimanere schiacciati dal peso di quelle tragedie, ma temo sia qualcosa di peggio. Ricorderai la famosa domanda di Voltaire (oggi la si definirebbe “test”... ): «se spingendo un bottone morisse uno sconosciuto in Cina, ma in cambio ricevessimo una grossa somma, quanti sarebbero capaci di resistere alla tentazione? » Noi, anche senza accorgercene, non facciamo che spingere bottoni che mettono a repentaglio la vita di milioni di esseri in altre parti del mondo (lo sfruttamento delle risorse nei paesi poveri, la chiusura delle frontiere, per fare solo due esempi), ma che consentono ai pochi abitanti di una piccola porzione di mondo, di godere di privilegi. Però, meglio fermarsi qui, per non vanificare la levità delle storie che tu hai voluto così acutamente commentare.