L’Aspromonte, punta estrema della Calabria che si staglia nel cuore del Mediterraneo, dalla preistoria al Medioevo è stato luogo di conquiste, insediamenti e scambi, che ne hanno fatto una terra ricca di storia, dove natura e cultura si compenetrano.
Tra gli enormi monoliti, le alte cascate, le profonde fiumare, gli agrumeti e gli alberi di ulivo, sono ancora ben visibili le vestigia magno – greche e romane che, oltre alla civiltà, hanno regalato a questa terra selvaggia, dove le diverse culture dialogano e gli opposti coesistono, un ricco patrimonio culturale che rimane ancora oggi vivo nelle tradizioni, nell’architettura e nell’arte. Sono moltissimi i luoghi aspromontani dove ancora oggi sono ben visibili le tracce degli antichi insediamenti e tra questi figura il territorio di Oppido Mamertina dove, fin dai primi anni del 900, è stato scoperto un vasto e rilevante patrimonio archeologico.
Le scoperte: dalle aree di necropoli a Castellace all’abitato brettio di Mella
L’area di Oppido Mamertina è particolarmente importante per le scoperte, in gran parte fortuite, risalenti all’età ellenistico-romana. Di questi rinvenimenti, le prime sono state le 14 tombe di età ellenistica individuate nel 1904 in località Chiese Carcate sul terrazzo di Varapodio, a pochi chilometri dal centro abitato di Oppido. Successivamente, negli anni ‘20, altre 11 tombe furono scoperte sul pianoro di Torre Inferrata di Castellace, frazione di Oppido.
Queste sono tombe riconducibili ad una necropoli dell’età del Bronzo-Ferro e ad una del IV secolo a.C. All’interno furono trovati numerosi oggetti dei corredi funerari particolarmente importanti non solo per il loro valore e pregio artistico ma soprattutto perché indicavano i contatti e gli scambi con le aree balcaniche, egee ed orientali avutisi nel corso dei secoli. Interessante per tipologia costruttiva è risultata la sepoltura scoperta nel 1932 in località Famogreco di Castellace. In base agli oggetti del corredo (alari, spiedi e candelabro in piombo) trovati al suo interno, la tomba va ascritta all’ambito culturale italico. Negli anni ‘80 altre scoperte indicarono un’occupazione stabile ed organizzata di questa area tirrenica preaspromontana dal IV al I secolo a.C. Le indagini avviate alla fine degli anni ‘80 in località Mella infatti, hanno messo in luce un centro abitato riconducibile ai brettii Tauriani che vi si insediarono stabilmente dal III secolo a.C. Il segno distintivo della sua appartenenza proprio a questo popolo, furono i laterizi bollati rinvenuti nel sito, tipologicamente uguali a quelli scoperti sempre a Mella nel 1926. Alquanto lacunosa è la documentazione di età greca di questo territorio, in quanto gli unici rinvenimenti, di materiale numismatico, sono: un tesoretto di monete siracusane trovato in località Mella e qualche moneta trovata a Castellace; poche forme ceramiche di tradizione geometrica e ionica (VII – VI secolo a.C.) e a vernice nera anche di tipo miniaturistico (VI – V secolo a.C.) trovati a Castellace nel 1939; l’elmo a calotta in bronzo e la nota lamina votiva con la dedica a Eracle reggino trovata nel sito di Torre Inferrata. La certezza di una presenza organizzata in età classica è stata invece data dalle indagini avviate dalla Soprintendenza per i Beni archeologici della Calabria dagli anni ’90 sul pianoro di località Torre Cillea, separato da quello limitrofo di Torre Inferrata dallo stretto vallone Cattivello. Le strutture rinvenute in quest’area hanno permesso di stabilire il ruolo giocato dal sito nell’ambito delle dinamiche insediative territoriali già a partire dall’età tardo-arcaica. Anche a Tresilico, altra frazione di Oppido Mamertina, secondo alcune fonti, fino agli anni ‘50 vennero rinvenute sepolture a cassa e a fossa con copertura a cappuccina riconducibili a piccoli nuclei di necropoli del III e II secolo a.C., ma ad oggi risulta impossibile verificarne l’attendibilità dal momento che l’area venne interessata da lavori di edilizia privata e ammodernamenti stradali. Nel centro urbano di Oppido invece, venne trovato un nucleo sepolcrale risalente al VII secolo d.C., mentre in contrada Santa Venere, che si trova a circa mezzo chilometro dal centro, si parla del rinvenimento di una tomba di tarda età imperiale. Alla fine degli anni ‘80, in contrada San Pietro vennero alla luce 5 tombe, all’interno delle quali vennero trovate monete di Traiano e Marco Aurelio, che le fecero inquadrare nell’arco del II secolo d.C.
Tra la fiumara Boscaino e il Tricucio, immerso negli uliveti, sorge il centro dei Tauriani di località Mella, classico esempio di come i Brettii prediligevano i territori interni più facili da difendere. Durante gli scavi, venne inquadrato come abitato per il breve tratto di asse stradale acciottolato che includeva sul fondo una canaletta in coppi semicircolari posizionati a coppia, recanti il bollo al genitivo plurale TAYPIANOYM. Il modello urbanistico sembra rifarsi a quello tipico dei centri magno – greci del III – II secolo a.C. Gli scavi evidenziarono la posteriorità dell’acquedotto, risalente alla fine del II – prima metà del I secolo a.C., mentre l’acciottolato è del III secolo a.C. Da ulteriori indagini effettuate, fu possibile stabilire una precedente fase di abbandono (metà IV – metà III secolo a.C.). Dell’asse stradale è stato riportato alla luce un tratto lungo 70 metri, leggermente concavo, caratterizzato dalla presenza di cinque spine unitamente a tre piccole canalizzazioni, poco profonde e coeve al suo impianto. Sul lato nord l’asse si arresta sul ciglio del pianoro, mentre su quello sud si ha la certezza che prosegua oltre l’area interessata dallo scavo. Su entrambi i lati dell’asse stradale sono stati trovati diversi vani con differente destinazione funzionale, riconducibili a tre edifici sul lato est e ad almeno altri due sul lato ovest. Altri dieci vani, a pianta rettangolare, sono stati individuati nella parte meridionale; qui è stato possibile identificare ambienti destinati anche ad attività di stoccaggio e lavorazione di derrate. Nel vano nove, riconducibile alla parte residenziale dell’edificio, è presente il piano pavimentale, l’unico in cocciopesto rinvenuto. I dati acquisiti sul lato orientale dell’asse stradale, come la presenza di almeno due ambitus (circuito di terra intorno alle case, utilizzato al fine di garantire congrue distanze di costruzione tra gli edifici, ndr), hanno permesso di definire la planimetria di questo settore dell’abitato. La particolarità è che al di sotto dei livelli di sistemazione di età ellenistica è stata intercettata una fase di età protostorica, riconducibile addirittura all’età del Ferro. Nella prima campagna di scavo, avvenuta negli anni ’80, furono portati alla luce tre edifici, e nelle successive, effettuate tra il 2006 e il 2008, l’obiettivo fu quello di completare la perimetrazione almeno di uno di quegli edifici e di procedere alle verifiche utili alla definizione certa della distribuzione dei lotti abitativi. Nell’edificio I a pianta quadrata, per esempio, è stato possibile definire il perimetro e l’articolazione interna, passando così dai nove ambienti già noti a quattordici. L’organizzazione planimetrica è tipica dell’architettura domestica di età ellenistica, attestata dall’ampio cortile centrale su cui si aprono i vani. Durante le varie campagne di scavi, è stato quindi possibile documentare le diverse fasi di vita del centro brettio, date da modifiche planimetriche interne, da particolari costruttivi degli edifici e da una diversa destinazione funzionale dei vani. Le fasi ricoprono un arco compreso tra la fine del III, l’inizio del II e il primo trentennio del I secolo a.C. Inoltre, esistono chiare tracce di ulteriori edifici inquadrabili entro il I secolo d.C.
Oppido Vecchia e il suo castello
Secondo le fonti ufficiali, Oppido Vecchia era già esistente nel 1044. Francesca Martorano, direttore del Dipartimento Patrimonio, Architettura e Urbanistica dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, nel libro “Il territorio di Oppido Mamertina dall’antichità all’età contemporanea”, la definisce “kastron” di Sant’Agata o Oppido, sottolineando che è proprio a partire dal 1044 si infittiscono i documenti sull’insediamento, designato sia come “asty” che come “castron”. La stessa spiega che, il termine castron identifica in età tardo bizantina un insediamento fortificato, lo stesso significato che assume anche asty. Pertanto, la città che i Bizantini ricostruirono probabilmente intorno al X secolo su un piccolo altipiano a 311 metri sul livello del mare, era difesa. In una fonte greca di origine normanna, la città viene inserita tra le fortezze principali della Calabria meridionale. Dai documenti storici emerge che Ruggero, nel 1059, vi si recò per assediarla, ma mentre attendeva che la città capitolasse, fu costretto ad abbandonare l’assedio e a spostarsi verso San Martino, a seguito della notizia secondo la quale un esercito guidato dal vescovo di Cassano e dal presopo di Gerace, stava giungendo per conquistare proprio quest’ultima città. Nel 1138, la signora di Oppido era Massimilla, sorella di re Ruggero, e a partire dal XII secolo il toponimo identificava la dinastia. I signori di Oppido, furono a capo del feudo fino alla seconda metà del XIV secolo. Risale alla metà del Quattrocento invece, un documento che parla esplicitamente del castello, ma secondo la Martorano, una fortificazione adibita a residenza dei feudatari doveva esistere già dall’età normanna, anche se dovette essere profondamente modificata o completamente distrutta tra il XIII e XIV secolo, dal momento che sul terreno non vi è traccia. Chiaramente visibili sono invece le strutture di età angioina: due torri rotonde all’interno dei bastioni est e ovest e del muro di cortina sud-est. Secondo gli studi condotti, la fortificazione normanna potrebbe essere stata trasformata in castello in cui si adottò la tipologia a pianta quadrangolare con torri cilindriche ai vertici. Se queste esistessero in tutti e quattro gli angoli però, non è dato saperlo con certezza.
Nell’apprezzo di alcune terre della Calabria centro-meridionale, fatto eseguire da Ferrante I dopo la guerra del 1459-1464, tra l’elenco dei beni che si trovavano ad Oppido, non è elencato un castello ma un palazzo per metà semidiruto. L’importanza del sito si evince dal fatto che nel 1490 la città venne tassata per 326 ducati, rientrando tra i 12 dei 130 abitati della Calabria Ultra che avevano una tale tassazione. Solo altri 15 siti erano tassati per oltre 390 ducati, di questi 8 sulla fascia di 400 e 3 (Terranova, Reggio e Taverna) su quella dei 1000 ducati. Due documenti di fine Quattrocento danno conferma della sua importanza, testimoniando che nel 1489 Oppido venne ispezionata dall’erede al trono, il duca di Calabria, e che il 12 novembre del 1494, venne data disposizione al tesoriere di Calabria Ultra di stipendiare una guarnigione di 6 uomini che doveva difendere il castello, “molto importante strategicamente”. In quegli anni Oppido apparteneva a Giovanni Antonio Caracciolo, figlio di Berardo e di Enrichetta de Ascaris, che morì prima del 1510 e della cui eredità pervenne a Giovanni proprio la terra di Oppido. La successione fu registrata nel 1513. Il 28 ottobre del 1530, Giovanni Antonio fu proclamato Conte di Oppido dall’imperatore Carlo V. Nel 1611 Oppido con i casali fu acquistata da Carlo Spinelli, terzo principe di Cariati, dalla contessa Isabella Caracciolo che, erede di Ferrante, vendette per soddisfare i debiti del fratello. Secondo gli studi, la fortificazione ebbe una radicale trasformazione motivata dalle mutate esigenze belliche, nella seconda metà del XVI secolo o ai primi del XVII. Infatti il muro di cortina sud-est venne raddoppiato e le torri circolari est ed ovest inglobate in due bastioni a lancia a base scarpata. Il castello di Oppido ha una tipologia a pianta quadrangolare con bastioni agli angoli tipica del Viceregno, che era per altro la più diffusa in Calabria a partire dalla metà del Cinquecento, essendo tale planimetria quella che meglio si riusciva ad adattare alle varie condizioni del terreno, graduando, a seconda dei casi, l’altezza delle scarpe delle torri e delle cortine per assorbire i declivi. Ad Oppido infatti, i bastioni hanno altezza differente per nascondere la diversa quota del terreno. Il tipo di bastione realizzato è ad angolo acuto, “a freccia”, con fianchi perpendicolari alle linee di difesa. Quello che meglio si è conservato è l’occidentale, che ingloba una torre a pianta interna lievemente ellittica e coperta a volta. Una scala anulare, realizzata nello spessore murario, permetteva di raggiungere dall’interno il livello superiore. I tre bastioni, che si sono conservati fino al coronamento, presentano elementi architettonici molto curati. Il castello è poi caratterizzato da grossi merloni bilobati, che sottolineano un interessante sistema di difesa. Alcuni documenti del Sei e Settecento parlano della presenza nel castello di prigioni maschili e femminili, mentre un atto notarile del XVIII secolo dà notizia anche di una cappella, di cui però non sono rimaste tracce. Oggi l’aspetto predominante della fortificazione è quello tardocinquecentesco, di notevole monumentalità per l’ampiezza e l’altezza delle cortine e dei bastioni.
Il terremoto del 1783
La conformazione di Oppido Vecchia può essere osservata nella veduta seicentesca di Pacichelli, che risulta abbastanza esatta se la si pone a confronto con le strutture che si sono conservate. Dalla veduta risulta che dentro le mura di Oppido, vi erano i conventi di San Francesco da Paola e degli Zoccolanti, la Chiesa di San Nicolò, il Monte di Pietà, il seggio, il vescovado e il castello. Nella cinta muraria vi erano due porte: la Porta di sopra e la Porta dabbasso. Fuori le mura i cappuccini e la chiesa di Santa Maria. Nell’incisione il castello è a pianta perfettamente regolare, con gli ambienti disposti lungo due cortine e con tre bastioni ai vertici, così come si presenta oggi nonostante i crolli verificatisi a seguito del terribile terremoto del 5 febbraio 1783. Il sisma, il cui epicentro si verificò proprio nella Valle delle Saline, l’attuale Piana di Gioia Tauro, distrusse completamente la città di Oppido e ne provocò l’abbandono.
“Atlante 1783” è il documentario sperimentale della regista di origini oppidesi Maria Giovanna Cicciari, che nel 2016 fece approdare la storia di Oppido Mamertina alla 73esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Presentato nella sezione Si@Sic della 31esima Settimana internazionale della critica di Venezia, il documentario partiva dalle memorie del paesaggio fino a giungere al nefasto evento che distrusse e modificò completamente la geologia dei territori calabresi, segnando profondamente la storia di Oppido.
Tra mito e realtà
Si intitola “La contessa di Oppido” il romanzo di Antonio Roselli, ambientato proprio nel borgo alle falde dell’Aspromonte. Ripercorrendo grandi eventi storici, lo scrittore punta i riflettori su una storia antica, tramandata a voce, fatta di intrecci, intrighi, amori e passioni, considerata da sempre una leggenda, ma che forse proprio una leggenda non è. Nel 1501, mentre il trono Aragonese di Napoli veniva spodestato con cruenti conflitti, la duchessa Isabella D’Aragona, nipote di Re Federico, che da un breve periodo era al comando temporaneo del regno, bandiva l’atto di sentenza di morte per il Conte Antonello Caracciolo, feudatario di Oppido, consistente in una pubblica decapitazione. La decisione della duchessa avviene a seguito delle drammatiche vicende che ruotano attorno al borgo, dove il Conte, sostenuto dai suoi sgherri e da un virtuoso prelato, compiva da anni le sue angherie sulla plebe e soddisfava i più smodati piaceri sessuali. L’ultima delle sue brame sarà Irene Malarbì, la bellissima figlia del vecchio capraio Bruno.
Oppido Mamertina è una città che da sempre affascina per la sua storia millenaria, fatta di splendore, devastazione e rinascita. Dalla distruzione a seguito del terremoto del 1783 fino ai giorni nostri, passando per una lunga e faticosa ricostruzione, ha lasciato un’impronta indelebile nelle pagine di storia della Calabria. Molte le università che si sono occupate negli anni di questo borgo nel cuore dell’Aspromonte. L’ultima, in ordine di tempo, è “La Sapienza” di Roma, che proprio in questi giorni ha visto impegnati i suoi studenti, armati di drone, in un’approfondita indagine tra i suggestivi ruderi dell’antica città.