Con il suo “Tormentone Tour” da oltre un anno calca i palchi di tutta Italia, data dopo data, – sold out quella al Circolo Ohibò di Milano meno di un mese fa -, Scarda, al secolo Domenico (Nico) Scardamaglio, si è affermato da tempo nella scena musicale italiana.
Un artista che coniuga spirito cantautorale con sonorità pop nella sua personale poetica della quotidianità. Su melodie pop, infatti, Scarda combina testi semplici e immediati in cui parla di una generazione che si muove nella provincia e dalla provincia; racconta d’amore – e delle sue cicatrici –; di nostalgia e malinconia e di storie di tutti i giorni in cui è facile identificarsi. Classe ‘86, napoletano di nascita e calabrese (Vibo Valentia) di crescita, oggi vive a Roma, città che gli ha permesso di muovere i primi passi in campo musicale. Nel 2014 esce "I piedi sul Cruscotto" (MK Records), il suo album d’esordio, da indipendente, dopo un paio d’anni di attività musicale, in cui i suoi video - registrazioni di brani voce e chitarra - cominciano a girare in rete. Crescono le visualizzazioni, il passaparola ed arrivano i primi concerti. Grazie a questo le sue canzoni giungono all’attenzione del regista Sydney Sibilia che sta per iniziare le riprese della sua opera prima, “Smetto quando voglio”. Nasce così l’omonima canzone – title song ufficiale del film -, per la quale Scarda riceve una candidatura ai David di Donatello. Nel 2015 riceve anche una nomination alle Targhe Tenco come migliore "opera prima". La scrittura per il cinema prosegue e, infatti, Scarda firma anche la colonna sonora dei sequel dei film diretti Sibilia, ovvero “Masterclass” del febbraio 2017 e “Ad Honorem” uscito a dicembre 2017.
Dopo quattro anni dal primo disco, torna in sala di registrazione e il 19 ottobre 2018 esce il suo secondo disco, "Tormentone" (Bianca Dischi). Lontano dal riferimento ai brani musicali che acquisiscono larga e rapida popolarità, Scarda mette in scena con 8 tracce il tormento dell’amore – ma anche della realizzazione di questo disco -, quello che ferisce, tema centrale dell’album. Scarda ci racconta del pensiero di un amore perduto quando “i ricordi sono coltelli” (nel brano “Bianca”); del passaggio in auto con il cuore a galla di fronte alla “Palazzina Gialla” della persona amata non più nella nostra vita; e ancora della più classica delle situazioni amorose che fuggono dalle definizioni nel brano “Non relazione”, manifesto di chi vive un lungo e stagnante “non stare insieme”. A giugno di quest’anno Scarda si concede una licenza estiva e pubblica un nuovo singolo, “Tropea”.
Lo abbiamo intervistato per conoscerlo meglio.
Come e quando ti sei avvicinato alla musica?
Ascoltandola, dal primo superiore in poi, iniziando a strimpellare, ma soprattutto coltivando una velleità artistica legata anche alla scrittura, che a quanto pare ho sempre avuto. C'è voluto un po', ma poi a 26 anni, in seguito al mio arrivo a Roma, mi sono deciso a provarci in prima persona, con canzoni mie.
Sei nato a Napoli, cresciuto a Vibo Valentia e ora vivi a Roma. In che modo ti hanno influenzato sotto il profilo musicale e di vita queste città?
Sono nato a Napoli, questo mi ha sicuramente influenzato perché il napoletano è artista nel DNA. Luoghi comuni a parte, è una propensione che sicuramente il napoletano ha, quella di voler cantare, quella di volersi esibire. Propensione che invece, il calabrese, notoriamente non ha. Però la Calabria mi ha influenzato dal punto di vista narrativo, il mio primo disco parla molto di provincia, ma a parte ciò, le spiagge, il mare, e altre cose, sono elementi che tornano sempre nelle mie canzoni e che assolutamente fanno parte del mio immaginario perché sono cresciuto in Calabria, gran parte della mia vita ha avuto luogo lì. Di conseguenza, nelle canzoni, molto del vissuto che metto da lì viene. Roma è la città che mi ha influenzato dal punto di vista degli stimoli. Qui ho elaborato tutto, qui ho deciso di iniziare questo percorso, qui ho avuto modo di conoscere e di confrontarmi con molti miei colleghi.
Come hai avuto modo di affermare in un'intervista, Vibo è stata lo scenario del tuo primo disco. In che modo ha influenzato il tuo modo di raccontare storie?
Beh, ho in parte risposto nell'altra domanda, ma aggiungo questo: ho vissuto a Vibo durante la fase della vita in cui ogni esperienza ti arriva più forte, l'adolescenza. Queste esperienze avrebbero potuto avere luogo ovunque, ma il fatto che abbiano avuto luogo a Vibo ha sicuramente lasciato la sua impronta. Le sensazioni di cui parlo oggi si sono formate lì, e li torna sempre il pensiero quando parlo di alcune cose. Altra influenza, poi, è stata sicuramente l'accento. Parè che un po' si senta quando canto. L'accento condiziona sempre molto l'interpretazione e quindi il modo di esprimere.
Il tuo esordio discografico ti è valso la candidatura alle Targhe Tenco e al David di Donatello. Tra “I Piedi sul Cruscotto” e “Tormentone” sono trascorsi quattro anni. Come è nato questo ultimo disco e com’è cambiata la tua produzione musicale e la tua ricerca?
Sono cambiati essenzialmente i suoni, c'è qualche sintetizzatore in più e qualche suono acustico in meno. Tormentone parla più apertamente di amore, quello che ti tormenta. È andato decisamente meglio del primo come disco e questo proprio perché sono passati quattro anni, in cui si è potuto lavorare con calma e con molta più consapevolezza. Si è potuto cambiare etichetta grazie alle scadenze contrattuali. L'etichetta è importante, Bianca Dischi, devo dire, sta lavorando molto bene.
Hai firmato le colonne sonore di “Smetto quando voglio” e dei sequel. Come sei arrivato a scrivere per il cinema? Raccontaci di queste esperienze...
Semplicemente fortuna: mi ha visto la ragazza del regista suonare in un posto, mi ha fatto un video, glielo ha mostrato e lui mi ha contattato. È stata un'esperienza utile, ha fatto sì che venissi preso sul serio già da inizio carriera e mi ha fatto capire di essere capace di scrivere anche "su commissione" oltre che su ispirazione.
Il video di “Distrutto”, uscito a maggio di quest'anno, mostra le immagini del “Tormentone tour” che ti ha portato in giro per l’Italia accompagnato da una band. Com’è andata?
Molto bene, c'è stata una crescita di pubblico e di affetto notevole. Abbiamo macinato tanti chilometri e tante esperienze insieme ai musicisti che mi accompagnano. È dura eh... ma dopo ogni concerto è stata sempre una grande gratificazione.
Il 27 giugno hai aperto il concerto di Calcutta al Rock in Roma all’Ippodromo delle Capannelle. Quali ricordi porterai con te?
Il palco più grande sul quale io abbia suonato finora. Parlo di dimensioni proprio... enorme!
Che cos’è la musica indie oggi? E qual è il significato dell'essere un artista indipendente da quando pare essere divenuto un genere musicale...
L'indie è il nuovo pop. Ed è sostanzialmente un ritorno alle carriere che partono dal basso, le etichette grosse dopo dieci anni di talent che lanciavano carriere dall'alto, dalla televisione, a un certo punto si sono rese conto che gran parte del mondo reale si era messo a cercare altro dalla musica e questo altro stava nelle mani delle etichette indipendenti. Ora che lo hanno capito, fondamentalmente, aiutano economicamente queste etichette più piccole, dando vita a vari tipi di collaborazioni. Oggi, partendo dal basso puoi arrivare molto in alto.
L'indie parla della nuova generazione, una generazione pessimista, triste, vuota. Raccontare quel vuoto forse è il significato dell'indie nella sua veste di genere musicale.
Il tuo ultimo singolo “Tropea”, il tuo “tormentone” estivo è uscito proprio il 21 giugno, nel primo giorno d’estate. Lo hai annunciato sui tuoi canali social con queste parole “...Non l’ho chiamata così per ricordare a voi o a me da quale terra vengo, non è importante da dove veniamo, non ci rende persone migliori o peggiori, non è questo a doverci unire o dividere...”. Raccontaci com'è nato questo brano.
È nato pensando alle estati passate a Tropea, ad alcuni aspetti in particolare. La premessa scritta sui Social, che tu hai riportato, voleva sottolineare che non l'ho chiamata Tropea per campanilismo, non mi piace il campanilismo, essere calabrese non significa essere migliore di qualcuno, neanche peggiore, ragionamenti del genere, in una visione estesa alla nazione, danno vita ai nazionalismi. Io odio i nazionalismi.
Cosa puoi dirci dei tuoi progetti futuri?
Niente.