«Nell’area delle Valli Cupe gravitano numerose specie di uccelli, molte delle quali rare e a rischio di estinzione: preservarle e garantirne la conservazione in un luogo ecologicamente perfetto come le Valli Cupe è un compito a cui non bisognerebbe sottrarsi».

Parola dell’ornitologo Domenico Bevacqua, che nella Riserva ha realizzato diversi reportage fotografici. Nella sala consiliare del Comune di Sersale, durante la presentazione del libro “Etnofauna in Calabria” (Rubbettino, pp.157, euro 15), la seconda pubblicazione - dopo il successo di Etnobotanica in Calabria - curata dalla Riserva Naturale Valli Cupe che studia e racconta con taglio divulgativo gli animali calabresi, sia dal punto di vista scientifico che da quello storico-culturale, Bevacqua ha aggiunto: «il primo passo da fare è costruire dei carnai, al fine di garantire aiuti alimentari agli uccelli selvatici e, quindi, la loro sopravvivenza. Molti di essi nidificano nella Riserva, altri sono solo di passaggio: è straordinaria la varietà di specie che si possono avvistare in quest’area presilana. Per citarne solo alcuni: il capovaccaio (un piccolo avvoltoio la cui ultima nidificazione risale a 15 anni fa), il biancone (un uccello migratorio rarissimo in Calabria, dalla straordinaria apertura alare, simile nella struttura a un’aquila e amante dei climi temperati e degli ambienti mediterranei ricoperti da arbusti e aree aperte), il falco di palude, l’albanella pallida, il nibbio reale, la poiana, il falco pecchiaiolo, lo sparviere, l’astore, il gheppio, il lodolaio e tantissimi altri ancora».

Uccelli selvatici e non solo: la Riserva che affaccia sullo Ionio è abitata anche da animali domestici, insetti, mammiferi selvatici, pesci, crostacei, molluschi e vermi, rettili e anfibi: una ricchissima biodiversità animale (e anche vegetale) tale che le Valli Cupe sono una delle sintesi meglio compiute del territorio calabrese. Gli autori del libro, Antonella Lupia (laureata in Scienze fisiopatologiche generali, è specializzata in biochimica clinica), Carmine Lupia (etnobotanico) e Raffaele Lupia (docente di Scienze agrarie, è impegnato in iniziative volte al recupero delle tradizioni del mondo rurale) di questi animali (170 specie) ne hanno approfondito il legame imprescindibile e necessario con l’uomo. Una simbiosi che viene snocciolata attraverso proverbi, modi di dire e credenze popolari: l’intento è quello di custodire e suggellare, conferendogli veste editoriale, un variegato patrimonio di antiche conoscenze relative ad abitudini alimentari e mezzi curativi tramandate solo oralmente nei secoli e giunte sino a oggi grazie ai racconti dei nostri nonni e delle nostre nonne. «Etnofauna in Calabria – asserisce Carmine Lupia, direttore della Riserva – è un omaggio a saperi e saggezze che hanno accompagnato la vita del popolo calabrese, nonché un tributo a una virtuosa civiltà contadina che rischia ingiustamente di scomparire». «Il mondo moderno sta commettendo un grande errore – ha proseguito il coautore Raffaele Lupia – modifica ciò che esiste per natura e non comprende i rapporti millenari tra i vari componenti dell’ambiente. Questo equilibrio perfetto ha il nome di ecologia e rispettarla è un dovere irrinunciabile».
La ricerca entnofaunistica del saggio non nasce tra gli scaffali delle biblioteche ma sul campo, tra la gente e in mezzo alla natura: «purtroppo le nuove generazioni conoscono sempre meno il territorio in cui viviamo – hanno commentato gli autori – con questa pubblicazione vorremmo far capire loro che nell’ecosistema l’uomo è protagonista tanto quanto le piante e gli animali. Innaturale sarebbe credersi estranei e inefficaci». È un messaggio che i tre studiosi rivolgono anche i bambini: sono tante, infatti, le favole pedagogiche a carattere naturalistico narrate nel libro.
E anche gli aneddoti dal sapore leggendario: la “sasamilu e Sila” è un animale magico in grado di camminare sui tizzoni ardenti e a questa sua natura misteriosa si deve la sua tutela e sopravvivenza; quella sulla salamandra pezzata è una narrazione fantastica diffusa tra il popolo calabrese che trova riscontro niente meno che nel duecentesco Milione di Marco Polo. Dal libro si apprende inoltre che in Calabria ci si nutriva con ben tre tipi di insetti: la farfalla, la mosca della ciliegia e la mosca del formaggio; quest’ultima produttrice di una pasta cremosa dall’elevato grado di prelibatezza.
Alla presentazione di “Etnofauna in Calabria” ha partecipato il sindaco della città di Sersale Salvatore Torchia (una delle due prefazioni del libro è sua, l’altra del prof. Giuseppe Bombino) che ha ringraziato il corpo forestale di Calabria Verde per il lavoro di manutenzione e messa in sicurezza che sta svolgendo nella Riserva Naturale Valli Cupe.
Per Raffaele Lupia, che ha tratto le conclusioni dell’incontro: «questo non è un libro di zoologia, né di etnografia o di letteratura. C’era, dunque, bisogno di un libro di “etnofauna” come questo? E’ un libro che non ha alcuna pretesa scientifica, anzi, non ha alcuna pretesa generale. Se, però, cercate un libro che vi parli di memoria e radici, di saperi antichi, che hanno accompagnato nei secoli la vita del nostro popolo e del tempo in cui animali e piante erano parte integrante della vita delle famiglie, questa è la lettura giusta. Unico nel suo genere. Queste pagine invitano a osservare gli animali nel loro spazio e a trarne lezioni di vita. Il pettirosso è l’uccello del Signore; la rondine, se non fa la sua comparsa entro il 24 marzo l’annata non sarà buona; la ghiandaia è detestata dai contadini per le razzie nei frutteti; il gufo è “malaugurio”; il cuculo, per il suo opportunismo, non gode di simpatia (“Pari nu cuculu”), annuncia la fine dell’inverno che però suggella solo il canto della cicala; il gheppio è anche detto “cristariallu” per la posizione in volo che lo fa somigliare a Gesù in croce, da cui “volo a spiritu santu”; il capovaccaio (avvoltoio egiziano) che s’aggira in coppia nelle Valli Cupe, non trovando carogne a sufficienza si spinge oltre, ma spesso, se non lo abbattono i cacciatori, perde l’orientamento, e tra la Sicilia e l’Africa annega. E poi c’è la lezione dell’asino (“ciucciu bellu de stu core”) che se non vuol bere è inutile spronarlo. Della capra, che per i danneggiamenti agli orti “è del diavolo e la pecora del Signore”, ma dall’intestino del capretto macellato s’ intuiva l’andamento climatico dell’intero anno; del coniglio associato a chi ama i pettegolezzi “rusica comu nu cunighi”; del sacro maiale, di cui sono annotati decine di detti (“del maiale conta la razza e delle persone gli antenati). Questo è un libro da tenere sul comodino, si legge come le fiabe. E’ un tributo, un omaggio, un riconoscimento a un mondo che rischia di scomparire senza lasciare traccia di sé. Un mondo semplice, la cui maggior virtù è sempre stata l’umiltà, unita a perseveranza e spirito di sacrificio, che si può identificare, in senso lato, come “civiltà contadina”. E’ a rischio quel sistema di conoscenze che si tramandando da una generazione all’altra in forma di legami spirituali e in una dimensione, spesso, essenzialmente religiosa».