
Decenni di emorragie umane, protesi verso il miraggio delle marine hanno ridisegnato la demografia di questa terra senza però riuscire a spegnere del tutto l'ideale sogno di un viaggio a ritroso, percorso da tanta gente che cerca di riannodare il filo mai spezzato della propria personale storia, lontana dai non luoghi alla ricerca di quelli che Marc Augè definiva "luoghi identitari". È una terra bella e strana quella dei Greci di Calabria, un caleidoscopio in cui rintracci tante cose, pietre calcaree che lasciano il posto al rosso dei tramonti, pelle arsa di uomini segnati da fatiche millenarie, ma soprattutto quell'antico idioma unico al mondo, retaggio di una cultura che si perde lontana nei secoli. Mi ha molto colpito il viaggio di Patrizia Giancotti, forse perché ho sempre creduto che per leggere i luoghi, le persone e gli eventi sia necessario osservarli da altre prospettive. Ho sempre creduto nella poesia del viaggio, nel potere dell'altrove ovunque esso sia, purché lontano dai riferimenti di sempre, libero da vincoli e legami che offuscano anche l'ultimo residuo di imparzialità. "La Calabria Greca - mi disse quando la chiamai al telefono - è terra di uomini ospitali, nella pienezza del senso omerico. Per mesi ho percorso quei territori, impegnata in una ricerca sul campo dove ho visto medici, professori, fabbri, massaie, suonatori di lira, zampogna e organetto, pastori. Pasquale ad esempio è un giovane di Bova poco più che ventenne che dopo un'esperienza come attore nel Film Anime Nere di Francesco Munzi, girato proprio tra Bova ed Africo, è tornato alla sua quotidianità.
Il suo stazzo - scrive Patrizia - è molto in alto, in verticale lo strapiombo diventa precipizio fiorito che porta al fiume, la vista da capogiro arriva fino al mare. Non c'è niente in piano, è difficile persino camminare e pure lo vedo come da un aereo in volo, correre giù dietro le capre col bastone dei padri e i piedi alati. Per ora alla orizzontalità del red carpet calpestato a Venezia preferisce la verticalità di questi scoscendimenti, dove il suono delle capre si fonde con quello della natura risvegliata e dove anche il profumo del vento, il fiume, il lupo, la pietra, il fiore, l'uomo e il mare laggiù sono uniti nella stessa partitura". È ricco di una straordinaria carica emozionale Filoxenia che fa cogliere il suo senso più vero proprio in quella dicotomia regalata dalla descrizione di Pasquale, dei suoi piedi alati, del bastone dei padri e di quel tappeto rosso assaporato in fretta ed ancora più in fretta accantonato, è questo il fil ruoge che lega il lavoro di Patrizia Giancotti, così ben fatto, a quel mio senso di disagio provato nell'immaginare un'indefinita Calabria 2.0. Foloxenia è un delicato tributo ad un angolo di sud ed alla sua gente che può guardarsi e lasciarsi guardare con occhi finalmente un po più liberi da ingombranti preconcetti.