Camilleri si è ispirato a Saverio Montalto per il suo commissario? Può darsi. Però è vero che la ripartizione sciasciana in omini, mezzi omini, ominicchi , piglianculu e quaquaraquà è anticipata di 20 anni dallo scrittore Saverio Montalto. Ecco le
Camilleri si è ispirato a Saverio Montalto per il suo commissario? Può darsi. Però è vero che la ripartizione sciasciana in omini, mezzi omini, ominicchi , piglianculu e quaquaraquà è anticipata di 20 anni dallo scrittore Saverio Montalto. Ecco le regole della famiglia :“ I nervi bisogna tenerli a posto (…) Un cristiano di mondo non si offende mai delle parole delle donne; ed io mi do ad intendere che sono un vero cristiano e non un omuncolo qualunque ; i veri uomini quando hanno a che fare con donne e bambini , li compatiscono e li pigliano con cioccolate e caramelle, gli omuncoli invece li pigliano sul serio”.
La ‘ndrangheta in letteratura. Nell’estate del 1996 l’indimenticabile Pasquino Crupi mi fece pervenire un manoscritto allora inedito dello scrittore Saverio Montalto: Matrimonio clandestino . Si stava organizzando un convegno da tenere a fine agosto a San Nicola d’Ardore, dove il veterinario Francesco Barillaro (suo vero nome) era nato il 19 febbraio 1898.
Quasi la stessa operazione ha voluto compiere Saverio Montalto scrivendo questo breve romanzo (ch’era stato in verità pubblicato sulla rivista “Nuove Prospettive Culturali “ , diretta da Franco Giacobbe nel 2° numero del 1979 e nel 1° del 1980) che segue di due anni la stesura del romanzo I maffiosi , redatto tra il 1939-40, e che poi Pasquino Crupi farà pubblicare nel 1973 per Frama’ S Edizioni ,con il titolo La famiglia Montalbano ( in verità qualche anno fa mi confidò di avere sbagliato a cambiare il titolo ) , vero e proprio ingresso della mafia nella letteratura italiana che i critici militanti si ostinano ad assegnare a Leonardo Sciascia e al suo “ Il giorno della civetta” , pubblicato nel 1961.
Il carteggio tra Mario La Cava e Leonardo Sciascia , pubblicato nel 2012 da Rubbettino ,dimostra inequivocabilmente che lo scrittore di Racalmuto aveva letto i manoscritti di Montalto già nel 1953. Pagine inedite vengono pubblicate in tre numeri di Nuovi Argomenti , su sua sollecitazione , dal direttore della rivista Alberto Moravia.
In una lettera di La Cava , datata 10,3.1956 si legge tra l’altro :” Carissimo Leonardo,(…) Considera pure l’idea mia di un’impresa editoriale per libri di narrativa e critica . Quanto a soldi per ora ci sono soltanto 500.000 che darebbe il Montalto a patto s’intende che si stampassero i suoi libri .”
L’ultimo accenno allo scrittore di San Nicola è datato 5 maggio 1958 : “ Carissimo Mario, sono ritornato a Racalmuto per restarvi fino alle elezioni Tu come stai ? Ieri ho bevuto un po’ del tuo “ greco” insieme a Pompeo Colajanni. Ottimo vino e ottimi amici : tu e lui. Salutami Montalto( ringraziandolo anche per il vino ) e gli altri amici . Ti abbraccio, Leonardo.”
Pasquino Crupi nel togliere dal letargo, forse interessato da parte dello scrittore siciliano, redige , su un rettangolo verticale a sfondo nero nella prima e quarta della copertina bianca del romanzo ,una nota fulminante, asciutta e quasi risentita: ” Questo suo romanzo è centrato sulla provincia , infetta e scarnificata dalla mafia .Saverio Montalto , disperatamente solo in questo suo originale viaggio narrativo , la riduce ad una espressione del blocco agrario, che ha condannato alla fame, all’arretratezza, al sottosviluppo il Sud . Gianni della Zoppa , Angelo Bello , Bruno lo Spincione , Mico Rodi , zio Bottaccio, non intrattengono alcun legame di consanguineità coi briganti di Nicola Misasi , di Vincenzo Padula e di Corrado Alvaro. Sono alle radici di una teoria di delitti e di prepotenze che oscurano il sole per i figli dei catoi senza luce e senza speranza Nel piccolo paese di San Filipo , all’indomani della prima guerra mondiale , essi si pongono come una forza onnivora , che si appropria di tutta la società civile : magistrati , avvocati , medici , agrari , popolo minuto , sono tutti ugualmente coinvolti , e la vita si arresta alle soglie di un mondo irrimediabilmente negato .

Lo scrittore compie una lunga , meticolosa , attenta escursione nel mondo della ‘ndrangheta sottolineando il suo carattere di associazione a delinquere e di cane da guardia degli interessi più meschini e più retrivi .Un organizzazione che è fortemente radicata nelle campagne, potente e prepotente, protetta e quasi impunita. E’ una pia illusione per chi la considerava solo Società di mutuo soccorso .
Lo stesso Corrado Alvaro , dopo l’operazione Marzano, scriveva sul Corriere della Sera dl 17 settembre 1955: ” La fibbia, la’ndrina,la ‘ndranghita,l’Onorata Società , insomma la mafia , di cui si parla in questi giorni, la conosco da quando ebbi l’età della ragione. Un ricordo preciso è di quando , tornato a casa per le vacanze, mia madre , venendomi incontro , mi disse che mio padre era occupato nella stanza di sopra con quelli dell’associazione : mi rallegrai dicendo :” C’è finalmente un ‘Associazione al nostro paese ? “. Fresco di studi , credevo si trattasse di un’associazione per gli interessi locali . Mia madre mi fece ricredere subito :”E’ l’associazione a delinquere”.Non so che avesse da sbrigare mio padre con quelle persone , comunque non me ne meravigliai. Nessuno in paese li considerava gente da evitare, e non tanto per timore quanto perché formavano ormai uno degli aspetti della classe dirigente.(…) I loro affiliati provenivano da gente già potente che aspirava ad un prepotere , oda oscuri giovani disperati che balzavano così a una certa considerazione.”
Concludeva profeticamente : “ Non è un semplice problema di polizia, né si tratta di mettere sotto accusa e in stato d’assedio un’intera provincia: la norma per un’azione seria, potrebbe dettarla l’esame di come si è comportata la classe dirigente da cinquant’anni . Questo non è tutto, ma può essere utile”.
Un anno prima Alvaro aveva registrato in Ultimo diario alcuni appunti e osservazioni che svilupperà nel racconto Angelino , che fa parte della raccolta Settantacinque racconti. Lo scrittore ricorda che tanta gente indesiderata dal regime emigrò in America e spesso da qui rientrò nuovamente in Italia perché espulsa per fatti di sangue e condanne. Se la prima emigrazione corroborò e fortificò i legami fra la mafia calabro –sicula e quella americana, la seconda ondata degli anni cinquanta consentì un depauperamento della società calabrese e uno sfilacciamento del tessuto sociale ( fuga di molti artigiani , sarti, contadini , braccianti) che lasciarono campo aperto agli individui più violenti e facinorosi: l’organizzazione sociale aveva visto partire proprio la classe che faceva da argine , da filtro al rafforzamento della ‘ndrangheta nel tessuto connettivo .

” Quando un volto coperto nasconde uno sfregio, quando il coltello luccica e insanguina , quando un’offesa subita , per reale o presunta che sia , viene vendicata , l’afflitta e lirica sua parola allontana i fatti, li margina , quasi li annulla , e il carnefice e la sua vittima sono annebbiati da un equanime pietas storica.”
Saverio Montalto si era rivelato scrittore di polso dopo un fatto di sangue che lo vide protagonista il 19 novembre 1940, quando , dopo anni di odissea familiare,infarcita di lacrime e tossico per le vessazioni subite, un raptus gli arma la mano contro il cognato ( che sevizia la sorella ) , contro la sorella che vuole sottrarre alla via crucis quotidiana del marito crudele e manesco e contro la moglie che lo esaspera in maniera asfissiante e lo dileggia davanti a tutti .
Resta vittima della follia omicida la sorella che lo scrittore bacia prima di andarsi a costituire in caserma ripetendo ossessivamente al Maresciallo dei Carabinieri : “ Ho ucciso mia sorella per non vederla più soffrire.”
Tutti questi avvenimenti sono esposti nel Memoriale dal carcere, pubblicato su interessamento di La Cava e Moravia nel 1957 dall’editore Lerici. E’ un’indagine sulla malvagità storica di un pezzo di umanità della provincia calabrese. Con Saverio Montalto la letteratura scopre così il dramma umano dei rapporti famigliari , tra consanguinei, tra parenti. Una descrizione crudele delle difficoltà economiche, delle avidità e delle stozzature della provincia calabrese che abbandona la solidarietà , come nel caso dei parenti del veterinario-scrittore , lasciandosi andare ad angherie senza fine.
Montalto si rivela autentico narratore con la ricostruzione particolareggiata in un suo personale memoriale per il giudice istruttore dell’omicidio della sorella : “ In un attimo mi trovai colla pistola in mano, sbucai nella stanza da pranzo e gridai per intimorirlo di gettare la rivoltella ed uscire fuori . Lui diede un urto più forte per divincolarsi dalle donne ed io allora lo puntai . Vidi un’ombra distaccarsi per venirmi incontro, ma il colpo era partito. Da questo momento divenni tutto spirito di conservazione e scaricai tutti gli otto colpi della pistola perché davanti a me non vedevo altro che ombre che mi volevano uccidere. Nè so come son rimasto vivo. Dopo un certo tempo che non so precisare mi sembrava di girare insieme alla casa , ma senza sapere ancora dove mi trovassi. Poi ebbi come un barlume di coscienza e mi vidi nei pressi del balcone dello studio insieme a mia moglie e mio cognato che si contorcevano e si lamentavano vicino a me; e , non vedendo più mia sorella, mi ricordai che prima c’era anche lei presente . Mi slanciai verso la stanza da pranzo e la trovai per terra immobile e supina . Mi buttai sopra ,la chiamai, ma non avuto risposta dal suo labbro , la baciai fortemente e scappai in mezzo alla strada. Quando fui in mezzo alla strada , da quel momento, tutto il mio essere divenne una sola idea: impietosire il mondo per quella donna distesa immobile nella mia casa e che aveva tanto sofferto durante la sua vita; e, del resto non mi occupavo più.”
Per questo omicidio il protagonista sarà internato nel manicomio giudiziario di Aversa e dopo cinque anni , aiutato soprattutto da Mario La Cava ,ritorna un uomo libero , raccontando la tremenda esperienza nel romanzo Raptus , nel 2003 pubblicato dalla casa editrice Periferia. Lo stesso La Cava trarrà spunto dalla tragedia famigliare del’amico veterinario per scrivere l’unico suo dramma Un giorno dell’anno , raggiungendo l’apice della sua arte di drammaturgo e di scrittore , non solo influenzato dalle atmosfere della tragedia greca che fa rivivere , ma anche dalla lettura di un’opera fondamentale di Ernesto Buonaiuti , suo vero scoprire, Amore e morte nei tragici greci.
Saverio Montalto ebbe un rapporto amniotico con la sua gente, pur essendo descritto come uomo riservato e introverso . Solo essendo presente nella propria realtà che si possono meglio capire i caratteri umani delle persone che danno poi vita ai caratteri dei personaggi rappresentati nell’opera : la Calabria contraffatta e violentata dalla mafia e dove si diventa ciechi , sordi e muti senza accorgersene . Montalto ha osato vedere senza lasciarsi contaminare da questa malattia, inspiegabilmente contagiosa e che già nella famiglia Montalbano viene descritta dal di dentro con un originale ed intenso ritmo narrativo , pur se di stampo ottocentesco: “ il picciotto di giornata trovò Cola davanti alla chiesa che stava mirando le belle ragazze, dato che l’arciprete durante le serate celebrate faceva illuminare col gas la piazza come giorno, che uscivano dal vespro con in testa Mariangela con le sue tre sorelle più piccole. Quando intese che lo desiderava Gianni della Zoppa al ponte dell’Annunziata rimase un po’ titubante; ma siccome ormai non voleva dare ad intendere che aveva paura di lui , gli disse che andava.
Non appena Gianni della Zoppa lo vide avvicinarsi nello scuro in mezzo alla via si fece avanti e lo salutò non più con aria da mafioso , ma quasi quasi come un tempo quando andava a zappare a giornata da suopadre. Cola gli domandò .
“ Ci sono anche i cagnotti?”
“ C’è solamente il Signore Iddio e poi basta : E finchè starete con me nessuno mai si permetterà di toccarvi neanche con la punta del dito .”
“ Del resto, non vi temo: né a te e né gli altri .”
“ Lo so; e non da ora , ma da quando andavo scalzo e con la camicia stracciata . Ricordo tutti i benefici che un tempo abbiamo ricevuto dalla vostra famiglia e tutte le volte che mi sfamai e mi vestii nella vostra casa ed io perciò vi ho mandato a chiamare questa sera: per dirvi che io queste cose me le ricordo bene; ma , per dirvi anche che ormai quel tempo è finito : Io non ritorno più scalzo e con la zappa in mano e se non ritorno vuol dire che debbo avere il posto che mi tocca. Ormai tutto è cambiato e se per il momento non abbiamo tutto nelle nostre mani è questione di tempo perché l’avremo ed allora guai a chi non sarà con noi. Tutti si devono convincere che se vogliono avere un po’ di comando debbono mettersi prima d’accordo con noi : assessori ,sindaci , deputati , medici , avvocati e tutti quelli che vengono dopo. ( …) Vi posso assicurare che ormai incomincia a far parte della nostra famiglia gente più ricca di voi e molto più istruita di voi. Voi , dato che avete i mezzi , ci aiuterete solo economicamente e per il resto ordinate che noi eseguiremo .(…) Statevi attento che se non volete essere dei nostri , io vi combatterò con tutti i mezzi possibili. So bene che vi difenderete perché a voi il cuore non manca; ma allora significa che chi di noi due non potrà stare a galla affonderà.

In pochi passaggi lo scrittore di San Nicola d’Ardore (questa pagina risale al 1940)ci fa entrare nel processo di trasformazione della mafia rivelando profeticamente la sua evoluzione storica.
Mafia che ritorna in Matrimonio clandestino che si avvita, con intreccio sapiente , intorno alla storia di Rosina che vive con la sorella Teresa in un villaggio della marina jonica . Avevano lasciato la campagna dopo la morte di entrambi i genitori. Rosina è una bella sartina , ha studiato fino alla quinta elementare e diviene ben presto , per la sua bellezza , per la sua florida posizione economica ( è riuscita a depositare in piccoli risparmi postali qualcosa come diecimila lire che agli inizi del Novecento è un bel gruzzolo) oggetto di amorose attenzioni di Gim Caruso , vice capo bastone della ‘ndrina locale e che per scommessa con i suoi affiliati si mette a corteggiare Rosina , simulando un amore inesistente. Passeggia davanti alla sua casa , accompagnandosi all’assessore e agli altri galantuomini del paese che di lui hanno timore per il ruolo di comando in seno all’Onorata Società ed anche perché , tornato con un bel gruzzolo dall’America , si era lasciato dietro le umili origini contadine e gestisce l’unico bar del paese insieme alla mamma , Agata la pazza.
Alla titubanza iniziale subentra in Rosina una cieca fiducia e dietro i consigli di una vicina , comare Peppina ( tra i personaggi meglio delineati dallo scrittore ) accetta di fidanzarsi e ben presto rimane incinta . Per farle nascondere il suo nuovo stato e per calmare le ire della madre i Gim Caruso fa scattare la messinscena di un “matrimonio clandestino” , con falso pretee falsi testimoni in casa del capo bastone Don Roberto Siracusa . Avuta la dote da Rosina , Gim la abbandona. Ormai disonorata va in pasto alla pubblica opinione in un crescendo di pettegolezzo e isolamento fisico ed economico. Una realtà cruda che la isola , allestendo un vero e proprio cordone sanitario intorno alle due sorelle e a Rosina in particolare , cagna rognosa e in calore per aver ceduto alle voglie di Gim .Si prospettano per Montalto due vie d’uscita: la degradazione di Rosina a donna di tutti o la morte.
Lo scrittore di Ardore sceglie questa seconda strada, come la Rosa di Emigranti di Francesco Perri. Rosina si lascia travolgere ed inghiottire dai marosi e al popolo che si riversa sulla spiaggia per indagare se fosse incinta o meno non resta che la visione del ventre enorme della protagonista per l’acqua ingoiata. Mancava così la “ prova” dell’intrallazzo amoroso con Gim Caruso che , imperterrito nel suo ruolo malefico, continua la sua partita a briscola, rafforzando ulteriormente il suo strapotere sulla gente del villaggio marinaro .
Con questo romanzo Saverio Montalto insiste nel mettere in scena la mafia che sta vivendo in quegli anni un apparente stato di sonnolenza nella società calabrese ma che , grazie al fenomeno della emigrazione oltre Oceano , l’America gangsteristica del Primo Novecento, ha appreso bene l’arte del delinquere, radicandosi inesorabilmente in terra calabrese. In terra americana, come si legge nel romanzo La famiglia Montalbano, mafia calabrese e mafia americana si forgiano , si influenzano in un continuo contatto e contagio reciproco. . . La Calabria e il Sud non hanno solo esportato manodopera ma anche uomini d’onore.
In Matrimonio clandestino, così come nella Famiglia Montalbano, Montalto insiste sulla rappresentazione comportamentale del mafioso e con rapidi ed efficaci schizzi riesce a faci cogliere tutta la sostanza anche simbolica della cultura mafiosa .
Gim Caruso veste con il solito pantalone blu ad imbuto e le maniche della camicia azzurra rimboccate per il caldo ( il blu e l’azzurro simbolo della libertà che solo ai maffiosi è impunemente garantita). Nel romanzo non si incontreranno mai la giustizia e le forze dell’ordine. Ricordate l’Antonello di Gente in Aspromonte che solo alla fine può vedere i carabinieri e dire loro” il fatto suo “?
La stessa ripartizione sciasciana in omini , mezzi omini , ominicchi , piglianculu e quaquaraquà è anticipata di ben vent’anni da Saverio Montalto .Ecco le regole della famiglia : “ I nervi bisogna tenerli a posto (…) Un cristiano di mondo non si offende mai delle parole delle donne ; ed io mi do ad intendere che sono un vero cristiano e non un omuncolo qualunque ; i veri uomini quando hanno a che fare con donne e bambini , li compatiscono e li pigliano con cioccolate e caramelle , gli omuncoli invece li pigliano sul serio “
Sulle orme di Alvaro , Seminara e Perri, la Calabria con le sue contraddizioni, macchina paradisiaca ed infernale ad un tempo , rivive nell’opera di Saverio Montalto : con le sue incrostazioni millenarie , i suoi miti , la sua totemica civiltà contadina e pastorale. Una Calabria che per lo scrittore non diventa mai un rifugio decadente, trasfigurata da atmosfere magiche e liriche estetizzanti come talvolta per Alvaro , ma che è scoperchiata nelle sue nervature più riposte e segrete . Una Calabria già infettata dalla mafia che, affrancatasi dalle baronie locali al cui servizio si era posta , vessando il popolo minuto , si va lentamente trasformando in organizzazione violenta e sanguinaria.
Rosina è donna e in una società maschilista come quella calabrese non può sfidare le ferree leggi imposte dalla ‘ndrangheta. Non è un maschio come Cola Napoli che nella Famiglia Montalbano si ostina a rompere l’accerchiamento asfissiante e asfittico e diviene un eroe che vuole creare , a modo suo , una coscienza civile che ridia la dignità di un vivere sociale libero e“ normale”, così come è consentito in tanti altri posti .
Partendo da questi presupposti Saverio Montalto si accinse ascrivere Matrimonio clandestino , ancora inebetito per il dramma personale e familiare che l’aveva colpito . Ma capisce in anticipo una verità che negli ultimi anni si sta rivelando tragica : il ruolo della donna nella società ‘ndranghetista.
Nella Famiglia Montalbano Carmeluzza Caruso è una mafiosa spregevole ,che libera certamente non è ,ma che era “diventata ormai anche lei sangue e carne della stupenda “famiglia Montalbano”: (…) A questo punto si alzò Carmeluzza come una furia profferendo con veemenza che quell’infame doveva mandarsi assolutamente a mangiare terra nella fossa , perché lei non era donna da essere scherzata da un Cola Napoli qualsiasi: (…) ma visto e considerato che il disonesto non aveva mantenuti i suoi impegni , doveva essere spedito ipso facto all’altro mondo e qualora non intendevano farlo loro uomini , che parlassero chiaro , che lo avrebbe fatto lei , a tamburo battente,da semplice donna, perché il cuore non le mancava e non solo non le mancava il cuore , ma dopo morto era capace anche di succhiargli il sangue e berselo come si beve una bottiglia di liquore.(…) Dette tutte queste cose belle ed edificanti si sedè di nuovo e cambiando cera di punto in bianco , si mise a guardare con occhio languido edappassionato Mico Rodi che le stava di fronte facendolo tremare da capo a piedi.(…) Decise di tenersi la bocca chiusa ; e mirando con un dolce ed impercettibile sorriso Carmeluzza abbassò la testa in segno di assentimento. Carmeluzza gli mandò uno sguardo ancora più languido ed appassionato che gli causò un nuovo tuffo al cuore .”
Lo scrittore la fa sedere insieme agli affiliati nella riunione del tribunale mafioso che deve decidere la morte di Cola Napoli , cristiano sbattezzato, che ha osato ribellarsi alla violenza e alla cultura della ‘ndrangheta. I romanzi di Montalto sono densi di pagine sulla libertà negata a persone che rivelano una insolita ed intensa ricchezza interiore .
Ma lo scrittore va oltre : riesce anche a dare dignità letteraria al dialetto calabrese che da” lingua di natura” si sforza di far diventare “lingua di cultura”( l’italiano filtrato attraverso le voci dialettali del popolo) e attua attraverso la scrittura una autentica “strategia dello scampo”. Vita e scrittura si vampirizzano a vicenda fino alla combustione che genera l’opera d’arte. Una sorta di battaglia per l’esistenza come scriveva nel suo diario Kafka. Montalto vive di letteratura , accompagnato da queste vicende che interpreta con pathos , perché duramente segnato dall’esistenza. La vicenda dell’uccisone della sorella testimonia che quasi per dimenticare se stesso lo scrittore scrive , immergendosi nella vita dei suoi personaggi. Si direbbe che abbia vissuto due volte la vita, scrivendo ; l’esperienza della scrittura ha prodotto in Saverio Montalto una sorta di pace. Il piccolo dell’umanità di Calabria con le sue note più sostanziali e più crude , universali ed eterne , con i suoi demoni e le sue virtù . Mai che prevalga una calabresità piagnona e pietosa.
Un ritmo amaro e tormentato da un oscuro rovello , mutuando un’espressione di Calvino a proposito di Fortunato Seminara. Quel rovello angoscioso ed angosciante che ha generato tutta la sua opera di narratore dalla tempra vigorosa , dalla scrittura oggettiva e quasi crudele che resiste al tempo , come i classici della letteratura nazionale.
Montalto non ha eluso la sofferenza ma è partito da essaper narrare l’uomo , le sofferenze storiche e la degenerazione ‘ndranghetista che stanno sfigurando la nostra terra. Per dirla con Pasquino Crupi “ ha osato misurarsi con una materia tanto incondita e incandescente , pervenendo al massimo di consapevolezza critica , ad una rappresentazione persuasiva di un mondo esplorato nel suo costume e reso perfettamente nella sua lingua.”