Da oltre dieci anni il mondo del ‘beverage’, in Italia, sta vivendo un nuovo slancio che ruota attorno alla birra artigianale.
Una locuzione che contiene diversi aspetti comprendenti non solo le fasi della produzione, ma tutto un complesso di idee imprenditoriali, un vasto indotto economico e agricolo ed anche un modo diverso di socializzazione che si rispecchia in un boccale. Ed ecco, quindi, un fiorire di aziende, pub a tema, festival, sagre, appuntamenti tematici, convegni previsti con cadenza regolare quasi in ogni regione del nostro paese: momenti di degustazione durante i quali scoprire gusti particolari, etichette poco commerciali ed entrare in contatto diretto con produttori e mastri birrai.
Un percorso al quale la Calabria non si è certo sottratta: nelle nostre zone, infatti, oltre la realizzazione di impianti, assistiamo soventemente ad iniziative legate, appunto, al mondo della birra.
Anche in riva allo Stretto, opera da qualche anno, un birrificio, la cui storia è strettamente legata all’amore ed alla passione di Fernando Polito che ha voluto creare questa tipologia di impresa, credendo fermamente nella validità del prodotto, nelle sue potenzialità, e nella possibilità che pure Reggio fosse pronta per accogliere un’azienda operante in tale settore, tanto da ritornare in città nonostante un altro tipo di carriera già avviata altrove.
Da dove nasce l’idea di dar vita al Birrificio Reggino?
“Innanzitutto da una curiosità che avevo sviluppato intorno alla metà degli anni ’90, quando provai a produrre una birra casalinga con dei kit appositi. Una realizzazione che mi aveva abbastanza soddisfatto nonostante la scarsa esperienza di allora, per cui, sebbene stessi svolgendo tutt’altra professione, decisi di proseguire in questo tipo di produzione con metodi più strutturati. Pian piano capii che quella ‘semplice’ curiosità si stava trasformando in passione, a tal punto da volerla far divenire impresa. Considerando, quindi, il forte legame con la mia terra, ho deciso di rientrare ed iniziare a coltivare il mio sogno attraverso un’attività che, inoltre, in riva allo Stretto mancava, al contrario di altre realtà calabresi. E, con il tempo, abbiamo anche potuto sperimentare un gusto nuovo e particolare grazie all’unicità del bergamotto di Reggio Calabria di cui utilizziamo la buccia fresca in infusione prima di essere imbottigliata”.
Secondo lei quale la chiave di svolta che ha consentito una così corposa crescita del settore?
“Rispetto tale boom credo che siano due gli aspetti da considerare: uno prettamente sociale e l’altro economico. E’ palese che abbia preso piede una sorta di corsa agli alimenti salutari, perciò il prodotto artigianale, a chilometro zero, che non subisce particolari lavorazioni, realizzato con metodi tradizionali, senza conservanti, coloranti e, in questo caso, di anidride carbonica, attira molto più di quello industriale. Inoltre, la birra artigianale, a parità di prezzo, economicamente parlando, fa canalizzare la spesa verso una realizzazione di qualità. E, in un periodo storico caratterizzato dalla cosiddetta crisi, è sempre più importante la volontà di destinare il proprio denaro a favore di un prodotto dalle caratteristiche giuste, selezionato, frutto di una determinata esperienza artigianale, appunto, perché non si acquista solo una produzione ma anche il suo valore. Ciò, inoltre, spinge il consumatore a conoscere le caratteristiche del luogo dove quel determinato alimento o quella determinata bevanda nascono, apportando benefici indiretti a tutto un indotto, poiché il cliente collegherà sempre il prodotto al territorio di provenienza, creando dei riferimenti precisi e gettando le basi per realizzare una rete sociale, economica e turistica”.
Come riconoscere, da ‘profani’, un buon prodotto?
“Sicuramente attenzione alle caratteristiche scritte in etichetta: se è presente la dicitura artigianale, già, per legge, sappiamo essere un prodotto non filtrato e non pastorizzato, quindi un prodotto in evoluzione perché anche all’interno della bottiglia la birra ha una sua ‘vita’. Poi, in sintesi, l’intensità del colore, la schiuma, il gusto, i profumi che rilascia una volta versata, in particolare quello del luppolo, quasi assente nelle birre industriali che sono sottoposte, invece, a pastorizzazione e filtrazione. La birra artigianale esprime freschezza poiché le materie prime sono presenti in quantità maggiore ed il sapore, ovviamente, ne guadagna in esaltazione”.
Quali le proprietà organolettiche e i vantaggi di bere birra artigianale rispetto a quella industriale?
“E’ un prodotto che si forma naturalmente soprattutto quando è rifermentato in bottiglia, quindi non vi è aggiunta di anidride carbonica: è minore quindi la ‘gasatura’ e di conseguenza la sensazione di gonfiore o eventuali difficoltà digestive. Inoltre contiene vitamine, sali minerali e proteine, tanto che alcuni studi indicano, ad esempio, la birra artigianale quale integratore dopo importanti sforzi sportivi, e da qualche tempo si utilizza in tal senso dopo le competizioni”.
Quanto è legata la sua produzione al territorio?
“L’azienda, come si desume dal nome, vuole essere una pedina dell’economia reggina, avere una forte impronta e connotazione territoriale con l’intenzione di portare, grazie ad ambizione e professionalità, il nome della città fuori dai confini regionali. Inoltre vogliamo veicolare un messaggio positivo rivolto soprattutto alle giovani generazioni: cioè che con la buona volontà, il sacrificio e le idee, anche qui è possibile fare, e bene, impresa e divenire un esempio”.