Lo scorso 15 gennaio, a “mezzogiorno” in punto - un orario fortemente simbolico - sul sito di Invitalia si sono aperti i termini per la trasmissione delle domande di partecipazione al bando “Resto al Sud” per l’incentivazione dell’imprenditorialità giovanile nelle regioni centro-meridionali.
Fondi per 1,25 miliardi di euro; 50 mila euro per ogni richiedente il cui progetto sarà accettato e fino a 200 mila euro nel caso di più richiedenti costituiti in società o prossimi alla costituzione.
L’iniziativa si rivolge a tutti i giovani delle regioni del centro-sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia) purché abbiano un’età compresa tra i 18 ed i 35 anni (e non siano titolari di contratto di lavoro a tempo indeterminato, di imprese attive, o beneficiari di altre agevolazioni nel corso degli ultimi tre anni). Cioè a quei giovani meridionali che ogni giorno, anno dopo anno, prendono in mano vita e valigia e partono alla volta del Nord Italia o, sempre più di sovente, dell’estero. Sono giovani che al Sud hanno studiato e si sono formati, anche a spese dello Stato, e che – senza prospettive o speranze – scelgono di partire lasciandosi alle spalle un deserto sociale. Sono quei giovani che all’estero fanno fortuna, che mettono in piedi imprese, start up ed attività commerciali di vario genere che rimpolpano le economie altrui e lasciano in Italia solo l’onta di esserseli lasciati scappare.
È la cosiddetta fuga di cervelli: alla fine del 2016, infatti, secondo l’ultimo Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno, le nostre regioni meridionali infatti hanno perso altri 62mila abitanti. Considerando il saldo migratorio dell’ultimo quindicennio, sarebbero pertanto 200mila i laureati meridionali emigrati. Un saldo che, considerando il costo medio che serve a sostenere un percorso di istruzione elevata, si tradurrebbe in una perdita per il Sud di circa 30 miliardi di euro.
C’è chi parte ma c’è anche chi resta; e chi resta va a impinguare un altro dato, anche questo arcinoto ma sempre sconcertante, quello della disoccupazione giovanile. Non a caso tre regioni dell’Italia meridionale sono nella top-ten europea per il tasso di disoccupazione tra i giovani ed in particolare, secondo i dati diffusi da Eurostat, è la Calabria la regione europea che nel 2016 ha fatto registrare il maggior tasso di disoccupazione giovanile (58,7%).
La misura “resto al Sud”, istituita dal decreto legge n° 91/2017, è dunque l’estremo tentativo di porre un argine all’emorragia dei giovani dal Mezzogiorno, un’area geografica che - sebbene lo stesso Rapporto Svimez 2017 ravvisi segnali di crescita economica - paga un’atavica situazione di sottosviluppo, esacerbata da politiche spesso velleitarie o rivolte ad incentivare dinamiche clientelari, nonché una smisurata, spettrale, ostinata aura di rassegnazione.
Risultano escluse dal provvedimento attività libero professionali e commercio, per il resto spazio alla fantasia. Anzi, quanto più il progetto sarà articolato e creativo – pur rispettando i canoni della concretezza (non a caso deve essere accompagnato da un’indagine di mercato e delle relative strategie) – tante più chances avrà di risultare tra i prospetti beneficiari.
Le agevolazioni consistono in un contributo a fondo perduto pari al 35% del programma di spesa e in un finanziamento bancario per il restante 65% concesso da un istituto di credito che aderisce alla convenzione tra Invitalia e ABI. Il finanziamento bancario deve essere restituito in 8 anni, di cui due di preammortamento. E’ previsto inoltre un contributo a copertura degli interessi.
Resto al Sud è dunque un’opportunità da cogliere e che va colta, posto che alla base ci debbano essere coraggio, buone idee e competenza, prerequisiti senza i quali nessun capitale sarebbe sufficiente!
Un’opportunità per dare un nuovo volto all’impresa al Sud: un’impresa 2.0, semplice, veloce, digital e (magari) verde. Lo Stato, dal canto suo, non può pensare che il proprio compito si possa limitare all’erogazione dei fondi: occorre vigilare affinché i criteri di assegnazione rispettino i principi della meritocrazia, ma non solo. Restano nel contesto territoriale problemi di carattere annoso e strutturale che hanno impedito la realizzazione di una rete d’imprese diffusa e competitiva; restano le radici solide e sempreverdi della “mala pianta” criminosa; resta l’ostracismo di una burocrazia farraginosa ed estenuante; l’abisso dell’economia sommersa che concorre slealmente con le aziende sane e squattrinate; resta un magma di illegalità diffusa e di scarso senso civico. Resta il Mezzogiorno bello e maledetto, che una ventata fresca di gioventù potrebbe salvare!