Cito non a caso lo scrittore triestino perché ha molto amato Mario La Cava che in queste parole si ritroverebbe totalmente. Non pochi libri dello scrittore di Bovalino sono entrati a far parte della nostra esistenza, noi che abbiamo sempre considerato la letteratura come vita. I libri, come gli amori, le amicizie, la felicità e le sventure costituiscono per molti di noi la passione dominante .
Per questo da venticinque anni cerco di raccontare la letteratura calabrese, convinto che se dovessimo scrivere una storia letteraria sotto forma di atlante geografico, questa provincia avrebbe un ruolo di primo piano. La Locride è diventata uno dei privilegiati luoghi letterari d’Italia anche se l’insipienza della nostra classe dirigente ha fatto di tutto per emarginare la cultura, quella vera s’intende, privilegiando sagre di paese e sperperando ricchezza.
Il mio ultimo lavoro è dedicato proprio a Mario La Cava e ha un titolo intrigante “ Come nasce uno scrittore” , con la prefazione di Vincenzo Consolo, pubblicato da Città del Sole Edizioni di Franco Arcidiaco.
Un lavoro che vuole mettere in luce alcuni rapporti determinanti per lo scrittore di Bovalino e la sua scelta di diventare scrittore. Primo fra tutti Ernesto Buonaiuti, conosciuto tramite lo zio medico Francesco La Cava. Egli diede ali alle sue speranze , invogliandolo e incoraggiandolo a scrivere.
Sono andato a spulciare nella biblioteca lacaviana. Ci sono tutte le opere del Buonaiuti, padre del modernismo, uno dei pochi professori universitari a non prendere la tessera fascista. Un’opera su tutte influenzò La Cava Amore e morte nei tragici greci.
Diventerà il tema conduttore di gran parte delle migliore opere dello scrittore di Bovalino.
Ricco di stimoli anche l’incontro con il pastore evangelico fiorentino, Gino Roberto, che ogni estate scendeva in Calabria, avendo sposato una maestra bovalinese.
Come si vede due “ scomunicati”esercitarono un’influenza determinate nella formazione e nelle scelte stilistiche e di vita del La Cava.
Alcuni capitoli del mio lavoro sono dedicati al rapporto intenso con alcuni “compagni di processione” come Sciascia , Montalto , Consolo e Zappone .
Anche qui lettere e scritti inediti che ci consegnano un La Cava punto di riferimento della cultura nazionale, soprattutto negli anni cinquanta e scopritore di talenti. Uno Sciascia agli esordi, questuante di consigli allo scrittore di Bovalino e la cui amicizia durerà fino alla fine . Trecento lettere ( che saranno pubblicate a breve da Rubbettino) ad attestare un rapporto intenso , scelte stilistiche insieme maturate o rifiutate . Ultimi grandi meridionalisti in un Italia che non aveva tempo per badare ai grandi scrittori del nobile Sud.
Ne è testimonianza una lettera di Italo Calvino: “Ho ancora una volta apprezzato la tua finezza nelle annotazioni psicologiche più lievi, il tuo garbo, la tua fedeltà a una civiltà fatta di classicità e misura. Ma come far sentire una voce discreta come la tua in mezzo ai fragori dell’epoca in cui viviamo? “
Eppure gli apprezzamenti non mancarono mai.
Notevole il giudizio di Giorgio Caproni :
“ Nel cielo della nostra letteratura La Cava si pone come un esempio non facilmente imitabile con tanta saggia umiltà di scrittura. Moderno sì, ma anche classico a un tempo ( è forse questo uno dei suoi maggiori segreti) e non solo per la scrittura che ha invece la fermezza sapiente d’un testo antico”.
La scrittura di Mario la Cava – annotava con felice intuizione Vincenzo Consolo- credo che appartenga alla tradizione della narrativa orale . La narrazione epica dell’antica Grecia era orale. Ma anche nella tradizione araba, passata in Sicilia e in parte anche in Calabria, la narrazione era orale. Cantastorie che in effetti sono contastorie, narratori orali che fino a qualche decennio fa narravano nelle nostre piazze in occasione delle feste patronali .
Negli “ Appunti per una prefazione”, pubblicata in appendice ai Racconti di Bovalino , editi da Rubbettino, La Cava scrive tra l’altro: “L’autore ha pensato sempre alla gente di Bovalino ( e dei paesi vicini ) e da essa si è fatto suggerire immagini e atteggiamenti .Lo scopo non è stato di documentare alcunché, ma di esprimere poeticamente, secondo le mie forze, un sentimento tragico della vita, desunto dalle mie esperienze di vita e da quelle della gente calabra in mezzo alle quale vivo. Indugiando sulle forme più antiche e più grezze, ma non per questo meno civili, ho voluto soltanto cercare l’alimento dei miei più profondi sentimenti sulla vita e sul mondo.
Parlando di me spero di aver pure dato una voce ai più umili della mia terra.”
Basta leggere Una stagione a Siena“, vera autobiografia dello scrittore e di “una generazione di ventenni senza giovinezza” ( Crupi) per capire l’iter tormentato di una scelta che inseguiva con tutte le sue forze, ribellandosi alla volontà della famiglia.
“ Paolo contava di fare lo scrittore. Ma era quello un mestiere per vivere ? Suo padre lo ammoniva a non fidarsi troppo dei poderi che gli avrebbe lasciato . Con i tempi cattivi che si attraversavano non sarebbero bastati ad altro che a pagare le tasse . Occorreva produrre con la propria attività per poter aprire famiglia .”
“ Ma si frapponevano altri ostacoli del sentimento a rendere accidentato il suo cammino di scrittore esordiente. Paolo non viveva in un paese ideale che non interferisse con la sua realtà meschina nelle emozioni più genuine della sua ispirazione, il paese lo raggiungeva fin nella sua casa con la maldicenza di chi dubitava del suo talento… Arguivano che una qualche fissazione lo avesse stregato”.
Di fronte a queste cattiverie, a questa imperante stupidità lo scrittore continuava ad ammirare dal balcone il suo mare e “recuperava l’umanità dei pescatori che approdavano con le loro barche sull’arenile, bestemmiando tra di loro per il pesce che era fuggito. Rientravano nelle loro casupole , con la rete sulle spalle, per difenderla nella notte dai ladri; bestemmiando ancora sulla spartizione del pescato”.
Egli avrebbe guidato i pescatori e i contadini contro gli oppressori con i suoi scritti.
Fra le sue opere migliori merita attenzione il romanzo storico I fatti di Casignana , vero capolavoro che ci fa capire con quanta nitidezza e profonda analisi psicologica La Cava delinea la tentata occupazione delle terre da parte dei contadini , sulle orme di Verga e Jovine.

Ecco il ritratto di Don Luigi Nicota :
“ Don Luigi Nicota non leggeva i giornali: non voleva affaticare la mente. Ma si faceva riassumere le notizie più importanti dal segretario comunale , suo fedele alleato in tutte le amministrazioni del comune ( …) Che la facessero applicare nell’Alta Italia la legge Visocchi ma che la estendessero anche nella Bassa Italia, e perfino a Casignana, dove aveva sempre comandato senza dare conto a nessuno, era cosa che colpiva direttamente il suo cuore. ( …) Gridava, chiamando Teresa, l’amante in carica dalla quale aveva avuto quattro figli maschi malandrini e due femmine da sposare: che non aveva ancora legittimato, per non farsi sopraffare da loro, poichè li conosceva, ma che trattava come figli ai quali avrebbe lasciato la proprietà. Gridava chiamandola , per farsi portare ora una cosa ora l’altra: per sfogarsi così, col suo comando; e per sentire le notizie che si erano propalate nel paese, in seguito all’occupazione della foresta, dai suoi nemici e approvata dal prefetto . (…)Don Luigi vestiva di fustagno, quasi come un fattore ; e aveva la giacca di velluto marrone dei cacciatori. Abitava in quella casa, alta , nera, polverosa che pareva un castello, continuamente attraversata dalle donne del servizio: chi portava l’acqua dalla fontana esterna, sulla piazza, chi le provviste della giornata; o le vettovaglie che si accumulavano nei magazzini per essere vendute, e dove spesso imputridivano per mancanza di chi avesse soldi a comprarle. Egli stava spesso a fare conti; o a ricevere i suoi fattori e i suoi garzoni , più spesso i pastori ai quali fittava i pascoli delle sue terre e di quelle della principessa.”
Fra le sue opere più riuscite e poco conosciute la tragedia in tre atti Un giorno dell’anno.
Tema conduttore dell’opera, che rappresenta l’apice di tutta la produzione lacaviana, un fatto di sangue : la tragica vicenda vissuta a Bovalino da Francesco Barillaro ( in arte Saverio Montalto), amico per una vita dello scrittore. Il protagonista della tragedia , Duccio Malintesta, in preda ad un raptus, uccide la sorella per non vederla più soffrire.
Sorprende in questo lavoro teatrale la sintonia con i grandi tragici greci. Ad inizio di ogni atto o scena importante La Cava dà un ruolo alla voce corale del popolo che commenta , parteggia , anticipa la possibile azione del protagonista.
Ecco perché Vincenzo Consolo nella prefazione ha detto parole importanti per il nostro scrittore.” A questa vera , alta letteratura appartiene lo scrittore Mario la Cava, un vero scrittore che è stato dimenticato, come tanti altri del suo tempo e del suo livello. Ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare Mario La Cava, sia in Sicilia , insieme a Leonardo Sciascia, sia a Milano, insieme al comune e indimenticabile amico Ettore Badolato . Ammirato ero, oltreché dalla lettura dei suoi libri, dalla personalità di questo autore: vitale , allegro, ricco di intelligenza e calore umano.
(…) Un nobile Sud che la vergogna di ‘ndrangheta , mafia , camorra hanno fatto dimenticare.