La terza biografia dopo “Carlo III” e “Francesco di Paola”. Con “Alfonso il Magnanimo - Il re del Rinascimento che fece di Napoli la capitale del Mediterraneo” (Salerno Editrice), lo storico reggino Giuseppe Caridi ha continuato a impegnarsi sullo stesso filo conduttore che collega il Mezzogiorno d’Italia all’Europa.

Ci racconta un nuovo personaggio e le sue imprese, che univano la sua importanza a livello internazionale al ruolo rilevante che esercitava nel Mezzogiorno d’Italia. Caridi non è nuovo a questi percorsi: è un esperto sui temi del Mezzogiorno, dal Basso Medioevo all’Ottocento, è presidente della Deputazione di Storia Patria della Calabria, è professore ordinario di Storia Moderna all’Università di Messina. Il libro, pubblicato a gennaio di quest’anno, è già giunto alla prima ristampa; non è un romanzo ma un libro di storia dal linguaggio fluido e di piacevole lettura, con diversi aneddoti che appagano le curiosità del lettore. Il volume, che continua a registrare un evidente successo di critica, il “Corriere della Sera” gli ha dedicato due pagine, sarà molto probabilmente tradotto in spagnolo; anche Carlos Lòpez Rodrìguez, direttore del più importante archivio della Spagna insieme a quello di Madrid, l’Archivio General de la Corona de Aragón (l’Archivio Generale della Corona d’Aragona), si è espresso sui contenuti dell’opera, articolati in 320 pagine circa; dopo aver letto il libro ha esternato un giudizio molto lusinghiero nella lettera inviata allo scrittore Caridi, resa pubblica in occasione della prima presentazione del libro a Reggio Calabria, all’Università per Stranieri “Dante Alighieri”; nel testo della lettera si evince che la figura del principe spagnolo Alfonso di Trastamára, detto il Magnanimo, poi re Alfonso V d’Aragona, non era stata sufficientemente spiegata né valorizzata prima dell’opera di Caridi, perciò il suo lavoro va inquadrato come un’eccellente biografia che ci illumina sulla vita e l'azione di un monarca già re di Sicilia e Sardegna che, al termine di una guerra di conquista, durata più di vent’anni, riuscì a diventare pure re dell’Italia meridionale: il monarca, proprio con questa ulteriore conquista, completa il quadro che gli permette di esercitare un dominio sul Mediterraneo occidentale.
“Alfonso il Magnanimo”, quindi, inserì il Mezzogiorno d’Italia in un contesto internazionale?

“Sì, perché il Mezzogiorno – spiega Caridi – fino a quel momento era stato soltanto periferia dell’Europa. Prima di Alfonso sul trono del Mezzogiorno c’erano gli Angioini, i quali non avevano collegamenti se non con il re di Francia. Alfonso non solo era il re d’Aragona ma era strettamente imparentato con il re di Spagna, che era suo cugino; aveva legami con la Francia e con il re del Portogallo, lo stesso pontefice era in stretti rapporti con lui, pertanto inserisce il Mezzogiorno nel contesto europeo non con un ruolo di secondo piano ma da protagonista, perché la sua corte diventa un centro diplomatico a livello europeo e internazionale: tutti venivano a Napoli per avere rapporti mentre prima non era così. Napoli e questa area geografica del Mezzogiorno, che fino a quel momento erano ai margini del processo culturale, acquistano un ruolo evidente con una tendenza alla modernità abbastanza interessante, ma il resto del Mezzogiorno continua a essere soggetto al dominio feudale. Alfonso, ad esempio, cerca di fare una sorta di integrazione economica tra la Spagna e il Mezzogiorno d’Italia: poiché dalla Spagna, che non era autosufficiente, proveniva una richiesta di prodotti cerealicoli, mentre il Mezzogiorno d’Italia era carente di prodotti industriali, di prodotti tessili in particolare, Alfonso valutò che sarebbe stato opportuno che ci fosse uno scambio tra i prodotti tessili della Spagna da un lato e i cereali del Mezzogiorno d’Italia dall’altro; ha questa idea che, poi, non si concretizza per le resistenze dei proprietari terrieri meridionali, che sono sempre stati restii alla modernizzazione però, lui, l’idea ce l’ha. Nel frattempo, s’impegna a mantenere rapporti importanti con le signorie dell’Italia settentrionale, con Firenze e Milano e la repubblica di Genova è la sua nemica irriducibile, perché è la principale concorrente dei mercanti catalani”.
Con quali interventi salienti, per rendere grande Napoli, fece scelte strategiche sia in campo culturale sia in altri settori della vita pubblica napoletana?

“Con l’esperienza di Barcellona, che all’epoca era una delle principali città marittime con Genova e Venezia ed era la principale città marittima del Mediterraneo, Alfonso fa ristrutturare completamente il porto di Napoli, aggiunge un molo, promuove le costruzioni navali e l’importanza che Napoli e il regno dovevano avere in campo commerciale. Napoli, durante il suo regno, viene colpita da un terribile terremoto; lui la fa ricostruire riqualificandola con edifici importanti, penso fra tutti il Maschio Angioino: sopra c’è un alto rilievo, in cui si vede il corteo trionfale con cui Alfonso arriva a Napoli nel febbraio del 1443 ed è lui che fa incidere questo alto rilievo affinché se ne avesse perpetua memoria. In campo culturale, invece, remunera, con tutta una serie di prebende, gli uomini di cultura; un aneddoto interessante è che non deve passare un giorno in cui lui non legga qualcosa e quando durante i saccheggi i soldati trovano un libro tra le macerie di città distrutte subito glielo vanno a portare, perché sanno che avrebbero avuto una lauta ricompensa; lo stesso Cosimo dei Medici, il nonno di Lorenzo dei Medici, gli regala un libro di Seneca e questo per lui è un grandissimo dono. Alfonso, inoltre, manda i suoi emissari a comprare libri dove li trovano, istituisce e arricchisce di volumi una biblioteca a Napoli e sarebbe stata di una certa importanza e i ragazzi che ritiene meritevoli, che non hanno le possibilità economiche o i mezzi, li finanzia con una borsa di studio per aiutarli a studiare. Si circonda, però, di uomini di fiducia che arrivano in parte dalla Spagna: questo gli causa un contrasto fra i locali e i catalani che non sono ben visti. Allo stesso tempo riesce a valorizzare quei napoletani che ritiene valenti, perché deve avere a che fare con i feudatari del Mezzogiorno, una ‘razza’ molto riottosa”.
Napoli perché divenne la “capitale” del Mediterraneo?
“Bisogna innanzitutto ben distinguere ciò che avveniva a Napoli da ciò che accadeva nel resto del Mezzogiorno d’Italia: Napoli era una luce folgorante in un mondo di tenebre.

Con Alfonso V d’Aragona risiede la corte di un sovrano che ha i domini sul mar Mediterraneo e già in esso l’Aragona aveva un ruolo significativo; poi, una volta che lui si trasferisce a Napoli, il cuore dei suoi domini non è più Barcellona ma Napoli stessa, quindi dalla Catalogna il centro direzionale si sposta nell’Italia meridionale. Si insedia un sovrano che non è soltanto sovrano di Napoli. I feudatari non possono più ribellarsi come avrebbero potuto fare prima, perché è un sovrano che in qualsiasi momento può fare leva sulle risorse finanziarie e militari dei suoi regni iberici per reprimere ogni eventuale rivolta. Infatti, dopo che lui diventa re di Napoli, non ci saranno più problemi con i feudatari per tutto il suo regno, perché intelligentemente era riuscito a legarsi anche a livello familiare, in quanto la nipote del principe di Taranto, che era il principale feudatario, lui la fa sposare a suo figlio Ferrante, quindi già si lega in prospettiva del regno che avrebbe fatto il figlio e ciò gli consente di avere dei collegamenti con l’aristocrazia meridionale. Non dobbiamo perdere di vista gli uomini di cultura che facevano capo alla corte di Alfonso V d’Aragona e di cui lui si era circondato; erano come delle luci brillanti, una squadra di uomini di cultura a tutto campo: tecnici, architetti e geografi che erano i principali esponenti dell’Umanesimo e del Rinascimento”.
Ci furono rapporti tra Napoli e la Calabria durante il dominio di “Alfonso il Magnanimo”?

“Reggio era una città demaniale, cioè senza feudatari, ma ha un periodo di vent’anni di dominio feudale durante l’età aragonese. Alfonso, che aveva difficoltà a conquistarla, perché c’era la guerra con gli Angioini, affida a un suo connazionale, Alfonso de Cardona, l’incarico che se fosse riuscito a conquistarla dagli Angioini gliel’avrebbe data in feudo come contea; tutto questo si verifica e nel 1441 gliela assegna in feudo e Reggio rimane sotto i Cardona. Con il figlio di Alfonso, Ferrante d’Aragona, i reggini ottengono nuovamente l’indipendenza dal potere feudale, perché Antonio de Cardona viene privato da Ferrante del feudo di Reggio e così Reggio torna a essere la città ‘règia”, cioè la città che non ha signori feudali. I reggini, una volta che Alfonso diventa re di Napoli, avendo lui una giurisdizione su tutto il regno, vanno a chiedere una serie di privilegi che lui concede; ad esempio Alfonso permette l’uso a Reggio della moneta siciliana con lo stesso valore, perché c’erano dei rapporti molto stretti con la Sicilia, con Messina; dà la possibilità di importare il grano a un prezzo calmierato; accoglie gli ambasciatori reggini concedendo tutta una serie di privilegi che gli chiedono. Il fatto che Alfonso diventi re, è pure re di Sicilia, determina che Napoli e la Sicilia siano sotto lo stesso sovrano e ciò è importante anche per i reggini, perché si agevolano e si intensificano sullo Stretto i rapporti con Messina, mentre prima i reggini e i siciliani erano rispettivamente sotto gli Angioini e gli Aragonesi e poiché i rapporti politici sono più stretti, durante il periodo aragonese di ‘Alfonso il Magnanimo’ se ne avvantaggiano anche i legami economici”.
Questo libro ha preso vita sulla scia dei suoi due libri precedenti, “Carlo III” e “Francesco di Paola”: cosa accomuna questi tre personaggi che influenzarono e migliorarono il Mezzogiorno d’Italia?

“Che tutti e tre, ognuno dalla propria posizione, hanno avuto un ruolo di sviluppo del Mezzogiorno che, con il passar del tempo, riuscì a unificare tutti. Carlo III e ‘Alfonso il Magnanimo’ hanno sviluppato il Mezzogiorno dal punto di vista politico, perché erano tutti e due sovrani, tenendo conto di quelle che erano le caratteristiche del quadro nazionale e internazionale del tempo. Alfonso, sovrano del Medioevo, agisce in prima persona; Carlo III, dal canto suo, si fa aiutare nell’esercizio del potere e ha la grande abilità di scegliere efficacemente i suoi uomini. Con Alfonso abbiamo un rapporto particolare con il Ducato di Milano, per dividersi la penisola in due zone di influenza: a nord i duchi di Milano, a sud il re di Napoli, con al centro lo Stato della Chiesa, che continuava ad avere un ruolo molto importante.

Carlo III, che quando è a Napoli non è ancora Carlo III ma è Carlo di Borbone, incentiva durante il suo regno tutta una serie di riforme che si inquadrano nel contesto dell’Illuminismo e che vanno incontro alle esigenze dei riformatori napoletani: sviluppo dell’economia, rapporti con la Chiesa su basi più eque, cioè vengono ridimensionati una serie di privilegi ecclesiastici, una riforma fiscale e un tentativo non riuscito di ridurre i privilegi dei feudatari che, quest’ultimi, per questioni di carattere internazionale, riescono a bloccare. Con Francesco di Paola, invece, il Mezzogiorno è stato divulgato in tutto il mondo attraverso la forte spiritualità di un uomo del Mezzogiorno. La stessa fondazione dell’Ordine dei Minimi, che ha le sue radici in Calabria, è stata vista come la diffusione di un Ordine meridionale, calabrese, in Europa. Francesco, addirittura, poi, una volta che va in Francia, chiamato dal re Luigi XI, diventa anche consigliere del sovrano, ottiene così la grazia e l’appoggio del re di Francia per la fondazione nel 1493 di un Ordine che è, appunto, quello dei Minimi e riesce a fondare tutta una serie di conventi, parecchi conventi, sia in Francia, in Spagna, in Germania sia in Boemia. Non possiamo scordarci che Alessandro Boyl fu discepolo del calabrese Francesco di Paola e a Santo Domingo fondò la prima chiesa cristiana del Nuovo Mondo. A Napoli, in piazza del Plebiscito, intorno c’è una scritta: è un ex voto che il figlio di Carlo III, Ferdinando IV, il quale era stato esule dal 1806 al 1815 in Sicilia, aveva fatto al Santo di Paola per erigergli la basilica se lui fosse ritornato sul trono di Napoli. Infine, sia Federico d’Aragona che Francesco di Paola hanno condiviso nel 1562 lo scempio dei loro cadaveri da parte degli Ugonotti; quando l’ultimo re aragonese diventa re, nel 1496, a un certo punto è costretto alla fuga perché stanno arrivando i francesi e gli spagnoli che se lo contendono; si rifugia in Francia e non in Spagna per odio nei confronti del cugino, perché non era stato leale e quando muore viene sepolto nella stessa chiesa conventuale, a Tours, dove sarebbe stato sepolto e venerato Francesco di Paola”.
Quale prossimo libro le piacerebbe scrivere per continuare a raccontarci il Mezzogiorno d'Italia, alla ribalta delle cronache con le gesta di personaggi che, in parte, cambiarono il suo volto?
“Spero di seguire questa epopea perché è molto interessante; conto di fare un nuovo libro sugli Aragonesi di Napoli e sarà una prosecuzione, per certi aspetti, delle vicende meridionali sotto i successori di ‘Alfonso il Magnanimo’, anche con fatti che riguardano la Calabria durante un periodo in cui il regno di Napoli torna ad essere uno stato indipendente. In Calabria ci furono tutta una serie di scontri: Cosenza sarebbe stata messa a ferro e fuoco; Reggio riesce a liberarsi da un signore feudale, è la fase degli scontri fra Reggio e le Motte. E’, inoltre, un periodo molto importante nella storia europea: siamo nella seconda metà del Quattrocento, quando si afferma lo Stato nazionale in Spagna come in Francia e in Inghilterra; è in atto un tentativo per la formazione di uno Stato moderno assoluto, per comprimere i privilegi dei feudatari e della Chiesa; questo tentativo, soprattutto per quanto riguarda i privilegi dei feudatari, avviene anche nel Mezzogiorno d’Italia con risultati per certi versi positivi ma non completamente”.