Corrado Alvaro nato a San Luca (nella foto un panoramica del borgo) in provincia di Reggio Calabria: “ Nella mia infanzia , fino a nove anni, al mio paese sono stato felice. Il paese mi pareva grande, mi pareva tutto il mondo.”
E’ una delle tante confessioni dello scrittore calabrese, tratta dai suoi diari, certamente l’apice della sua arte ,che hanno raccolto per “ quasi una vita” i suoi appunti dai quali trarre ispirazione per i racconti, i saggi, le opere che mano a mano andava scrivendo. Materiale di lavoro dal quale viene fuori un’immagine completa di questa terra e del natio borgo , San Luca,” un paese di case rustiche sulla schiena di una montagna, come quei nidi di creta che vi fanno i calabroni intorno ad uno spino indurito.” Un paese di pastori e di contadini e anche di signori “ che la sera siedono in circolo, dicendo piacevolezze ai contadini che tornano stanchi e ansimanti di lavoro .”
Della Calabria Alvaro scrutò tutti gli aspetti e ogni volta che ne parlava restava coinvolto . Ce lo testimonia Pietro Pancrazi a commento di una conferenza tenuta dallo scrittore calabrese a Firenze nel 1930 . “Parlava della sua Calabria, e calabrese restò. Con quella sua faccia che sembra un pugno chiuso visto di profilo(…) Sparpagliava lontano le sue impressioni, i ricordi , i proverbi, le figure della sua terra , li lasciava andare; e poi a un tratto , con un accenno della mano tozza , li raccoglieva, li ribadiva a sé. “
Ma sentiamolo in qualche passaggio :” Conosco la Calabria che percorrevo a piedi o sul mulo, la Calabria impervia per cui era un mistero quello che si trovava dall’altra parte delle sue montagne o nei suoi altipiani solenni. Ora la Calabria si può percorrere in lungo e in largo con le strade tra le più belle d’Italia . Ho ritrovato la mia terra più bella di quanto non sospettassi io stesso, coi suoi altopiani interni che paiono di una contrada boreale d’Europa e la sua vecchia consunta sponda greca dell’ Jonio.”
A questa sponda greca Alvaro dedicherà uno dei suoi racconti più belli, che chiude la raccolta de “ L’amata alla finestra”, scritto mentre era ospite a Bovalino nello splendido palazzo della famiglia Spagnolo : “Stagione sullo Jonio” .
E’ una descrizione della marina dove la gente di montagna soggiornava per qualche settimana nei mesi di calura estiva. Dei paesi rivieraschi della sonnolente marina jonica si apprezzava la scioltezza della gente, il loro facile sarcasmo, la lingua pronta delle donne intraprendenti, gli uomini molli dal passo dondolante . Ma il divertimento più grande era vedere passare il treno, le cui locomotive recavano impressi nomi greci : Temistocle , Milziade , Pericle , Ibico , Sofocle . Avevano quasi una parvenza umana , erano diventati famigliari e tutti i ragazzi dalle strade , dalla spiaggia , dalle finestre leggevano quei nomi ad alta voce. Alvaro era incantato dalle siepi di gerani alti e fiammanti che limitavano la ferrata e dalle donne di servizio che volentieri andavano nelle case “dove c’era aria d’amore .”
Era attratto anche “ dal senso fisico dei contadini “ che dicono che stare bene e la salute è tutto e “la malattia rientra nella malignità umana; è come un difetto o una colpa”.
Eredità primitiva, difficile a scomparire. Anche quando andava in giro per l’Europa segretamente ritornava al suo mare Jonio e sperava “di sognare nel sonno le cose e le persone care di un tempo.”
Provava tristezza ad osservare i giovani meridionali che arrivavano nelle grandi città in cerca di lavoro . Annota in Ultimo diario :“ I disoccupati meridionali che arrivano a Roma come pellegrini. Cercatori, cauti, attenti , senza pastrano , le mani ciondoloni .”
Il senso della famiglia nei calabresi è innato , coi figli si divide tutto. “Uno dei migliori operai di Roccella, che lavora dieci ore al giorno , compra in un bar un gelato da venti lire che divide coi suoi due figli .”
Ecco perché “voler bene” è la frase che più si sente dire in Calabria; lo scrittore si confessa senza pudore: “Anche mia madre , quando mi ha riveduto , mi ha detto soltanto: credevo che non mi volessi più bene.”
Più che amore , annota Alvaro “ è la benevolenza, “il pensiero”, come dicono qui. E in caso di necessità, l’aiuto , la protezione. Non si immaginerebbe che un popolo simile, dalla vita dura e primitiva , nutra così raffinati e in fondo così morbosi sentimenti.” Un popolo delicato, che traspare anche dalla cura che ha per i fiori: “L’arbusto dell’ibisco coi grandi fiori fiammanti alle stazioni e davanti alle casupole”.
Ma è la donna a dominare la scena calabrese:” La donna è il personaggio più importante e più autentico della Calabria. E’ anche il lusso di una natura scabra, immiserita dagli uomini”.
Hanno lottato a lungo le donne calabresi, grandi sono stati i loro sforzi “ per uscire dallo stato di servitù. E non professano idee rivoluzionarie.”
Dei calabresi Alvaro conosce ogni piega e si diverte quasi ad annotare che molti passano la vita a scrivere suppliche ai potenti e lettere anonime e “ve ne sono che tengono a mente le date importanti della vita dei potenti e mandano i loro auguri per tempo”. E’ certamente una Calabria talora complicata e chi l’osserva dall’alto del suo benessere rovescia su di essa “i suoi sotterranei rimorsi, i suoi dubbi sul suo stesso modo di vivere, sulle sue responsabilità : il Sud appare insomma come lo specchio della cattiva coscienza nazionale.”
Alvaro si sofferma anche ad esaminare la parlata calabrese ionica. Da Squillace in giù vi è una Calabria che “entrò tardi a contatto con la romanità. La struttura dialettale lo attesta. Vi è un vocabolario che ha molto in comune con la primitiva lingua toscana”. La popolazione ha caratteri greci, con la tendenza al “vivere delicato” anche se la vita è povera; ospitali sebbene diffidenti degli stranieri; molto stimanti di sé , sensuali , pronti d’ingegno”.
Non è difficile distinguere un calabrese tra mille persone . Ha “un’aria riservata, diffidente , riflessiva e insieme timida”. Oggi che la modernità screanzata sta travolgendo tutto vale sempre il monito alvariano, (che ogni mattina sotto la sua finestra di Piazza di Spagna si sentiva gridare dal venditore d’arance “Calabria! Calabria!),che racchiude mirabilmente tutto il suo amore per questo lembo di terra affacciato sul mare di Ulisse: “E’ una vita alla quale occorre essere iniziati per capirla, essere nati per amarla, tanto è piena , come la contrada , di pietre e di spine”.
La Calabria prima che espressione geografica è una categoria morale, terra di antichi valori, solo argine, come dice Augusto Placanica, “contro la degradazione dell’ipocrisia capitalistica.”
“Il calabrese ha l’aria riservata, diffidente, riflessiva, timida”
