Io stavo muto , concentrato a scansare gli alberi sulla strada e le pozzanghere più viscide . E intanto cercavo e non trovavo le parole più semplici che avrei voluto dirgli, quelle di gratitudine per la storia che avevamo vissuto e che un giorno avrei raccontato a mio figlio . Promesso ,pà . (…)Ero felice, si. Perché nel fulgore di quella mattinata finalmente limpida mio padre era ancora vivo e mi aspettava sulla nostra collina per un ultimo abbraccio, il più importante della mia vita.”

La Calabria si riappropria così della sua nobile tradizione letteraria , alzando con questo coinvolgente romanzo di Abate , il profilo sempre più basso della narrativa italiana, ridotta a velleitario e piatto intrattenimento .
Conobbi Carmine Abate nel maggio 2007 alla Fiera del Libro di Torino dove eravamo stati invitati ( c’era pure Vito Teti) a parlare di Calabria. Mi colpirono la sua disarmante semplicità e il suo sguardo profondo . Il viso celava la forza del suo peregrinare ,del suo vivere per addizione e dava al suo argomentare la pregnanza di una storia umana e letteraria intensamente vissute.
Tutti e tre convenimmo che la cultura e la letteratura dovrebbero servire per abbattere tanti luoghi comuni sulla nostra terra attraverso la narrazione di storie autentiche, Mi confidò che stava lavorando ad una nuova storia ( era da poco uscito La festa del ritorno che nel 2011 è stato tra i cinque libri più venduti negli Stati Uniti) ambientata in Calabria, recuperando la nostra memoria più preziosa e facendo sentire i calabresi meno soli.
La collina del vento racconta il Novecento di una famiglia calabrese attraverso tre generazioni che vivono in simbiosi con la terra-madre , da dove può partire il riscatto e dove i profumi, i colori e i miti di una civiltà millenaria alimentano sogni e mondi nuovi possibili.
“ Era un miscuglio di ginestra e sambuco in fiore, di origano e liquirizia, di cisto , menta e malva selvatica , che la brezza marina faceva roteare sulla cima della collina come un’aureola invisibile.”
Una collina che dà al romanzo un sapore noir, con i segreti sepolti e svelati solo alla fine, con un intreccio narrativo fitto e intarsiato ,come i tappeti della gente italo-albanese .Una collina che ha nelle sue viscere i resti di un’antica civiltà che Paolo Orsi si ostina a portare alla luce e che darà alla famiglia Arcuri la linfa vitale del loro riscatto socio –economico.

L’officina letteraria di Abate ha una lunga storia e l’ultimo romanzo riesce a condensare e sintetizzare con seducente ritmo narrativo un percorso via via in crescendo ,come nelle migliori sinfonie:
“ Paolo Orsi si aggirava in mezzo ai ruderi come un fantasma alto e silenzioso . (…)
Il bambino inseguiva quasi di corsa il passo lungo del professor Orsi e , soprattutto, le sue parole difficili che cercava di memorizzare come una poesia di cui non si comprende il senso per il suono ammaliante , per enigma che cela. Raccontava e camminava instancabile, il professore , fiutava l’aria e tastava il terreno. Teneva una mano pigiata sul suo cappello per paura che gli volasse via . E intanto continuava a camminare e a parlare.(…) Il vento non smette mai di fiatare sulla collina, sale dalle timpe, dalla fiumara o dal mare ,scuote gli alberi, accarezza il cocuzzolo giorno e notte , ruzzola lungo i pendii come un bambino felice, ma quando si arrabbia sono guai: vortica risucchiando ogni cosa, polvere , rametti spezzati, foglie , spine e breccia , che scaglia tutt’intorno con la furia di un vulcano impazzito.”
E’ anche poeta Carmine Abate (il suo primo libro è una raccolta di poesie) e impregna le sue pagine con una scrittura sanguigna e carnale, frutto delle origini arberesche ( è nato a Carfizzi in provincia di Crotone un paese italo –albanese a 50 chilometri dalla Sila e a circa venti dalla costa jonica) che infarciscono il linguaggio di tanti fonemi dai suoni antichi ,che trasudono radici incancellabili per chi ci è nato ( ciotìe, sanizzi e sperti, viaggèri,guagnuno,figliuma,mutucitto ecc.)
La collina del Rossarco intorno alla quale ruotano tutte le vicende di questo romanzo è l’emblema del possibile riscatto del Sud. Una famiglia , gli Arcuri , nelle cui vene scorre sangue socialista, disposta a difenderla dai bramosi attacchi del feudatario Don Lico ( riecheggia la figura di Don Luigi Nicota de I fatti di Casignana di Mario La Cava ) che alimentava l’autoritarismo del nuovo regime fascista e dei maffiosi d’ultima generazione con le scarpe lucide, pronti a devastare le “mammelle” calabresi con le pale eoliche o sfigurare le coste con giganteschi scheletri di cemento incompiuti.
Un riscatto che alimenta anche il meridionalista Umberto Zanotti Bianco che parlava – scrive Abate – come un libro stampato .
Michelangelo Arcuri, testimone fin da bambino della “resistenza” degli Arcuri lo incontra ed entra subito in sintonia:
“ Il loro obiettivo tenace era di saldare il passato remoto al presente e svelare al mondo e agli stessi ignari calabresi la grandezza di una terra conosciuta solo per la povertà e l’arretratezza della popolazione e la violenza dei mafiosi . Mio padre era entusiasta delle parole che ascoltava. Il sud ha bisogno di gente così , onesta e concreta, per risorgere.”
Sulla intensa copertina de La festa del ritorno sono riportate le parole che Vincenzo Consolo dedicò a Carmine Abate, sintesi mirabile della sua poetica che trae origine da un’oralità antica , linfa segreta della narrativa del Sud : “ Uno scrittore che si distingue per visione civile del mondo, impegno della memoria e originalità di scrittura.”
La lezione di Pavese, di Alvaro , della letteratura del Sud America hanno lasciato il segno in Carmine Abate che riesce a restituirci il fascino di una civiltà contadina di pasoliniana memoria , troppo in fretta messa in soffitta dallo sregolato e devastante sviluppo economico.
Non a caso Abate ritorna sulle lotte contadine calabresi per la conquista delle terre. Un accenno rapido ma che serve a denunciare la mancata realizzazione di una vera riforma agraria che di fatto generò poi l’emorraggia emigratoria degli anni cinquanta e la conseguente forza intimidatoria della ‘ndrangheta, guidata dai vecchi e nuovi pastori arricchiti.
Una civiltà contadina che respiri in tutto il libro e che restituisce, con uno stile scorrevole e ben controllato , la magia delle origini, delle vere radici , carne e sangue “ che avrebbero impregnato questa terra per l’ eternità .”
Gianni Carteri scrittore e saggista prolifico, tra i più autorevoli studiosi di Cesare Pavese