Nella Galleria del Primaticcio, all’interno dell’elegante palazzo Firenze (appartenuto alla famiglia del Monte prima e ai Medici poi, nonché sede del Ministero di Grazia e Giustizia e dal 1926 della Società Dante Alighieri nata nel 1889 grazie a un gruppo d’ intellettuali guidati da Giosuè Carducci), è stato presentato “Eros Thanatos nella drammaturgia di Rocco Familiari” edito da QualeCultura e scritto da Zina Crocè. A commentarlo, oltre all’autrice, nomi di spicco della cultura italiane del calibro di Walter Pedullà, Salvatore Italia, Giovanni Antonucci, Gianfranco Bartalotta. Ad introdurre l’evento è toccato a Salvatore Italia, che ha sottolineato lo stile chiaro e la capacità della scrittrice di entrare nel vivo delle tematiche di Familiari (tematiche segnate dalla presenza dei “doppi”: realtà e finzione, seduzione e dramma, amore come unità inscindibile di vita e morte e di presenza-assenza). Storico del teatro e dei mass media, Giovanni Antonucci definisce quella di Familiari una drammaturgia ricca, priva di etichette. E fa un excursus sulle opere del drammaturgo calabrese. Riconosce in “Circuito Chiuso” il testo anticipatore della manipolazione mediatica; è stato scritto, infatti, molto tempo prima di “The Truman Show” di Peter Weir e, prima di Familiari, solo Mc Luhan aveva fatto riferimento al determinismo tecnologico affermando “Non sei tu che guardi la tv: è lei che guarda te, e riversa in te quella energia che paralizza l’occhio”. Antonucci passa poi a “Orfeo Euridice”, in cui, come scrive Crocè, si avverte la stessa indissolubilità di vita e morte de “I Quattro Quartetti” di Eliot, “In my end is my beginning, in my beginning is my end”.
L’Orfeo di Familiari, infatti, è molto diverso dal mito classico: egli decide di non rinunciare all’amata e di aspettarla per l’eternità, rimanendo da vivo nel regno dei morti. Dunque “l’amore è morte”, e Orfeo, dopo averlo deciso con Euridice, le inietta una fiala letale nel paradossale tentativo di negare la morte.
Antonucci constata, inoltre, la differenza tra l’ appassionata Euridice di Familiari e l’Euridice di Rilke distaccata e indifferente. E infine “Herodias Salome”, la prima il doppio dell’altra, simbolo di bellezza e seduzione duplicatasi nella figlia, eternizzandosi partorendola. Lo storico del teatro e dei mass media porta alla luce quella tensione tragica tra erotismo e religiosità che Zina Crocè avverte nel personaggio di Jokanaan, che si difende dalla bellezza femminile con l’arma a lui più potente: il linguaggio. Antonucci ritiene che la scrittura drammaturgica di Familiari sia intrisa di ricchezza espressiva e di livello superiore alla drammaturgia degli ultimi quarant’anni, una scrittura lontana dall’astrattezza letteraria di altri autori; una scrittura, in breve, che è azione, si fa corpo, si fa teatro. E conclude ricordando la definizione di Zina Crocè: “Familiari è dionisiaco e apollineo: dionisiaco perché emerge dagli abissi dell’essere e apollineo per la limpidezza dello stile”. La parola, quindi, al critico teatrale e docente di storia del teatro all’Università degli Studi Roma Tre Gianfranco Bartalotta, che ha curato la presentazione di “Eros Thanatos”. Bartalotta dice che Zina Crocè unascrittrice rigorosa e scientifica, e associa il “problema” della critica del Novecento al “problema” dell’artista: questi ha il compito, pur non essendone in grado, di dar forma al caos del mondo.
La critica, a sua volta, deve esaminare l’ artista che non riesce a codificare il mondo. Di qui, il problema della critica. Bartalotta esamina lo strumento di decodifica del testo, accomunando il lavoro di Crocè sulle opere di Familiari a ciò che fa Goethe quando studia Shakespeare: “Goethe vede le opere del drammaturgo inglese come una sfera di cristallo che mostra il meccanismo interno”.
La Crocè, infatti, non solo studia l’opera di Familiari, ma scruta con perspicacia all’interno delle rotelle che fanno funzionare tutte le opere da lui scritte: “Si giunge a una visione che ha una propria settorialità dell’opera di Familiari, perché ognuno vede il mondo secondo la propria cultura, la propria preparazione e le proprie fonti; quella della Crocè Bartalotta: “quella della Crocè è una preparazione filosofico-letteraria, che ben si comprende nell’impostazione ermeneutica e nei densi riferimenti a filosofi come Derrida, Nietzsche, Lacan. Familiari sa bene che non può raggiungere il compimento della seduzione, infatti l’amore, in tutte le opere di Familiari non ha un compimento, tranne che nelle nelle poche commedie che ha scritto. Il compimento dell’amore è assente anche nella riscrittura dei miti. Lo vediamo in “Orfeo Euridice”: l’Orfeo di Familiari scende all’inferno, per riavere la sua Euridice, ma la aspetterà, lì, in eterno. Tutti i suoi personaggi s’illudono: don Giovanni s’ illude di sedurre; in “Circuito chiuso” s’illudono di chiudere il mondo attraverso la finzione della rappresentazione televisiva”. Per quanto riguarda il linguaggio (che per Familiari è strumento per afferrare l’illusione della vita) Bartalotta fa notare che l’alternanza di prosa e poesia presente in “Orfeo Euridice”, permette di esprimere la totalità del mondo.
E definisce quella di Familiari un tipo di scrittura visivo: “mentre leggiamo vediamo cosa succede”. Conclude il suo commento, apprezzando il profondo lavoro di Zina Crocè che, confessa, lo ha “molto arricchito”. Il noto critico letterario Walter Pedullà apprezza il libro della Crocè, e afferma di averlo letto con lo strabismo tipico dei critici letterari: “Uno sguardo al libro e uno a Familiari, per vedere se corrispondesse”.
E pone immediatamente il problema del mito con un quesito: “Si può parlare di fatti contemporanei attraverso il mito?” Per rispondere alla domanda, Pedullà, dalla parte della contemporaneità e poco dal mito in quanto distante, rievoca la domanda posta al suo professore, Giacomo Debenedetti: “La letteratura contemporanea produce miti, oppure essi sono solo quelli prodotti dai greci e dalla cultura biblica?” Pedullà riconosce in Familiari, dotato di cultura classica molto solida, la capacità di “prendere i miti e sbatterli sulla contemporaneità”. Anche Pedullà fa riferimento al “doppio”, spiegando che il titolo del libro, privo di congiunzione, sta a simboleggiare l’identità dei due aspetti dell’umano. Nel wagneriano “Tristano e Isotta” , il protagonista non vuole possedere Isotta, ma vuole essere Isotta. E Familiari è molto abile nel descrivere questo rapporto. Individua, inoltre, gli elementi che fanno di Familiari una personalità solida: “la cultura giuridica, il suo essere esperto di espressionismo, uomo di teatro, uomo che ha seguito la musica, traduttore dal greco e dal latino. Tutti elementi che vanno a concorrere in un’opera teatrale, e che, insieme agli eccellenti libri di narrativa (“Sole nero”, “Il ragazzo che lanciava messaggi nella bottiglia”), creano un personaggio che ha una grande tensione verso la conoscenza.” “La Crocè – scandisce Walter Pedullà - ci mette una grande cultura ermeneutica nello spiegare come Familiari ha lavorato. Questo libro è un’immagine di Familiari con una dimensione e statura illimitate. Non ci sono dubbi, la grandezza non si può misurare. Familiari è un grande autore”. Pedullà ritiene che essere scrittore significhi dare risposte a questioni assolute, universali.

A proposito di classicità, e di eticità, il luogo in cui ci troviamo questa sera ci ricorda che è necessario rivedere l’intreccio tra passato e presente, tra ciò che ci troviamo alle spalle come canone occidentale, e i valori civili che meglio possano riprogettare il futuro; questa esigenza è parte integrante delle opere di Rocco Familiari, di cui Ugo Ronfani ha scritto che nel raccontare le voci delle anime sa rimanere, sempre, profondamente solidale con l’uomo. Dunque, anche per questo, Familiari è del tutto lontano da quello ‘spirito di dimissioni’ che caratterizza tanta parte dell’odierno orizzonte culturale. Anche se, questa lontananza/militanza si accompagna in lui a una lucida ironia rortyana”. Il drammaturgo, che ha ascoltato ogni parola con attenzione, ringrazia Zina Crocè “per la capacità di entrare nelle pieghe dei suoi testi”. E dice: “ Appartengo ad una generazione che considera la scrittura come servizio e non come piacere, la letteratura è un atto di responsabilità”. Allietano ulteriormente l’evento le suggestive letture di alcune pagine del libro da parte dell’attrice Mita Medici che esorta Rocco Familiari a tornare a scrivere per il teatro, “perché il teatro ne ha bisogno”.