“Non ho da perdonare a nessuno. Se qualcuno m’avrà criticato avrà avuto le sue ragioni. Posso assicurare che a tutti voglio bene, soprattutto a quelli che in apparenza possono avermi voluto poco bene. Vorrei avere un’altra vita - scriveva nel suo testamento spirituale mons. Enrico Montalbetti - per darla ai giovani”.

La vita, quel grande arcivescovo di Reggio Calabria, la perse tragicamente ad Annà di Melito Porto Salvo, stroncato dal fuoco di un aereo inglese. Era il 31 gennaio del 1943.
La notizia di quella terribile morte destò commozione ovunque e non mancarono interrogativi, illazioni e congetture.
Furono in tanti, per esempio, a chiedersi, perché non si seppe impedire al presule di esporsi al gravissimo rischio di un possibile mitragliamento da parte degli aerei che sorvolavano l’area, su e giù per bombardare Messina.
Nato a Venezia, Enrico Montalbetti fu acclamato ovunque come il “vescovo dei giovani”. Educatore, catechista, il fascino che seppe suscitare sulla gioventù fu grande, come fu forte il fascino suscitato su lui dalla gioventù.
Una notte drammatica.
E veniamo alla notte di sangue e di fuoco del gennaio 1943. A raccontarcene i momenti dolorosi è Franco Arillotta.
Rievocando ora quei fatti, non possono non ravvisarsi precise responsabilità di coloro che ospitarono Mons. Montalbetti. Ad Annà, quella notte di settanta anni fa, ci furono gravi sottovalutazioni. L’arcivescovo di Reggio Calabria vi era giunto in visita pastorale. Si era nella aristocratica villa dei Ramirez. C’erano personaggi di spicco, autorità, ufficiali, esponenti della cultura. Sostavano tutti sotto il portico della grande villa, e si osservava l’andirivieni degli aerei che andavano a lanciare le loro bombe su Messina.
Quando fu colpito insieme ad altri ospiti (perirono dieci persone) Enrico Montalbetti aveva 54 anni e sei mesi e aveva compiuto un episcopato di 7 anni.
Si era in guerra, è vero. Ma quel secondo conflitto mondiale (che poi avrebbe causato tante perdite umane) non avrebbe conosciuto la brutta pagina di Annà, solo se ci fosse stata la giusta preveggenza.
Franco Arillotta, (che ha relazionato nell’incontro organizzato da Anassilaos, prestigiosa associazione culturale guidata da Stefano Iorfida), non nasconde il suo sbalordimento di fronte alle inerzie e alle disattenzioni che in quel lontano gennaio di settanta anni fa furono alla base dell’attacco sferrato contro Villa Ramirez: il caccia bombardiere inglese, che faceva la spola fra la costa calabrese e la dirimpettaia Messina, prese un abbaglio. Probabilmente, quelle grandi luci, gli ufficiali in uniforme, il movimento che animava quel pezzo di costa, fecero pensare ad un avamposto militare. Un obiettivo da colpire. Così persero la vita un grande vescovo, uno degli eredi Ramirez e altri protagonisti di un incontro di riflessione e preghiera finito in immane tragedia.