«L’Associazione Briganti – afferma Albanese – è una realtà molto coraggiosa, che lotta ogni giorno partendo dalle contraddizioni di una terra forte e che cerca di ripristinare il rapporto originario tra le radici e la voglia di riscatto: in loro vedo una forte verità d’azione. Il brigante è sincero ed iorivendico in modo brigantesco di essere il più grande sfaticato sulla faccia della terra».
«Mio padre è di Giffone, in provincia di Reggio Calabria – racconta Albanese – e lui e mia nonna mi hanno sempre raccontato la vita calabrese, la gente, la terra».
E’ a loro che lo scrittore deve il suo legame forte con le radici e l’affetto che nutre verso i nostri luoghi in cui, secondo lui, «esistono ancora delle forme relazionali importanti».
Quando parla della Calabria e del Meridione ci tiene a specificare che si tratta di luoghi che «nella storia recente hanno avuto un destino «differente da quella che è la loro vocazione naturale». Vocazione che lo scrittore definisce «solare, vitale a contatto con le cose migliori che ha il nostro Paese e quando capiremo questo il sud tornerà ad avere la centralità storica che ha sempre avuto».
Parla del “meridione d’Italia”, specificando come sia giusto definirlo tale per non compiere con il linguaggio un’opera di disinformazione e per non appoggiare un potere che negli anni ha nascosto nei luoghi comuni di nord e sud, una quantità di pregiudizi che hanno impoverito solo una parte del Paese, il sud appunto.
«Le ultime leggi risalenti al regno borbonico – spiega Albanese – avevano creato delle condizioni rispetto alle quali il welfare scandinavo è una cosa da pressappochisti. Basta pensare al cosiddetto “boccone del viandante” ad esempio, cioè la regola secondo la quale nessuno nel regno avrebbe dovuto morire di fame. Ecco questo semplice provvedimento lascia un po’ capire come stavano le cose prima che fosse unificata l’Italia e come oggi, sul piano storico, si dica veramente poco riguardo al sud e alla sua storia». Una storia che invece Albanese conosce bene e lo si intuisce non solo dalle informazioni o dalle storie che è capace di raccontare, ma dalla sua capacità di permeare quelle storie nella sua scrittura e nel suo essere autore in una società difficile come questa.

"Quando un lavoratore dice basta al padrone non inizia solo la sua libertà personale. Inizia la libertà di un popolo", recita così la quarta di copertina di questo ottimo romanzo dove il “lega l’asino dove il padrone vuole” sembra essere il mantra sociale che alimenta l’incapacità di molti lavoratori di ribellarsi ad essa, ma lo stesso Christian non cede alla richiesta di un dirigente: “Non chiederti se un ordine è giusto. Eseguilo!”
La morte dei lavoratori, chiaramente non voluta da loro. Siamo lontani per Albanese dall’effettivo valore per il lavoro, infatti «non basta oggi dire io sono impiegato occorre dire dove sei impiegato. Che mansioni hai nel luogo in cui sei impiegato, questa è la via per uscire da un mercato del lavoro assolutamente finto».
Un crogiolo di emozioni, di idee e di spunti che si possono ritrovare metaforizzati nelle pagine del libro che scorrono lievi sulla nostra contemporaneità così troppo veloce da pensare che anche quello che stiamo facendo, in fin dei conti potrebbe essere più autentico se avesse una funzione più degna e centrale nel mondo.