La Calabria è la sua culla. Il mondo la sua casa: Claudio Zappia, reggino, partito dallo Stretto dopo la laurea in Architettura alla Mediterranea, oggi quarantenne, ha un portfolio di progetti internazionali del calibro dei Parchi Olimpici di Londra 2012 e Rio 2016, dei waterfront inglese di Blackpool
(in grado di resistere ad uragani della potenza di Katrina) e quello di Manama, dove ha immaginato e quindi “creato” la prima spiaggia pubblica del Bahrain. Ha ideato Piazza Gae Aulenti a Milano, vincendo il prestigioso “Landscape Institute Award” nel 2016, quale direttore associato del network di progettisti mondiali Aecom London.
Landscape designer, letteralmente “Disegnatore del paesaggio”, Claudio Zappia ama entrare nell’anima dei luoghi e della gente che usufruirà della sua opera. Scovarne il segno più intimo e profondo, dove si nascondono sogni e desideri inespressi, se non addirittura inconsci, per farli diventare lifestyle. E’ successo in Bahrain, dove la prima spiaggia “libera” del regno ha fatto cadere ogni cesura tra uomini e donne, per la prima volta liberi, insieme, di vivere il mare.
Architetto, qual è l’approccio giusto al territorio e all’idea?
“Un approccio molto semplice: studiare il luogo, conoscerne le esigenze e i problemi; trasformare questi ultimi in opportunità, per generare il progetto e il suo linguaggio. Il processo è tuttavia lungo e complicato, perché coinvolge diversi attori. Serve una buona abilità analitica ed anche un po’ di iniziativa, con il cliente, nel suggerire le migliori idee. Tutto questo aiuta a creare uno spazio che mira a generare una nuova “memoria del luogo”. Amo “distendere” nuove forme, nel paesaggio, pensando che resteranno nel tempo. Un buon intuito, infine, credo sia essenziale”.
Come si è mosso per ideare progetti come il Parco Olimpico di Londra e di Rio e i waterfront di Blackpool in Inghilterra o di Manama in Bahrain?

Quali sono stati gli esiti (anche inaspettati) di queste opere sulle abitudini della gente del luogo?
“In Saadiyat Island, che è un’isola tra Abu Dhabi e Dubai, abbiamo costruito una autostrada che collega le due città. L’idea del progetto era quella di creare un “ritmo” per chi attraversasse quello spazio. Abbiamo allora immaginato ampie linee curve sui percorsi più lunghi e linee sempre più strette in prossimità delle uscite. Il linguaggio scelto è stato un segno grafico, creato con piante che richiedono pochissima acqua e poca manutenzione ed utilizzando anche quattro diverse pietre ricavate damateriale riciclato.
Il risultato finale è stato un grande “segno” paesaggistico, molto visibile dal cielo. Così è successo che chi lo sorvolava ne rimaneva incuriosito ed affascinato. Adesso quell’autostrada è diventata meta di visitatori, attratti del suo design: questo non era stato previsto. Ma è successo”.
L’architettura può dunque incidere positivamente sulle consuetudini?
“Credo che il Waterfront di Manama abbia migliorato la vita dei cittadini e degli stranieri del Paese: ora turisti e abitanti, uomini e donne, si ritrovano per fare attività sportive, prendere un caffè, fare yoga. È un piccolo seme che aiuta a migliorare la vita (“Healthy Life Style”) dei cittadini. Questo successo dimostra come una buona analisi del luogo, una buona idea, ed un cliente che rischi e creda nel tuo progetto, possano influenzare e addirittura “cambiare” le abitudini, portando ad una maggiore apertura verso gli altri”.
Le sono state offerte diverse cattedre, in giro per il mondo. Ha scelto?
“Ho sempre avuto la passione di comunicare e condividere le mie conoscenze. Sin da bambino. Ricordo la mia maestra della scuola elementare, Rosa, che mi dava la possibilità di raccontare delle favole, delle storie, anche ad un’intera scuola. Non è facile fare il mio lavoro ed insegnare allo stesso tempo. Ho ricevuto diverse proposte da atenei internazionali, è vero, anche molto prestigiosi ma, per il momento, preferisco tenere conferenze e workshop in giro per il mondo, e mi piace ancor di più farlo nella mia lingua, che resta quella che meglio mi fa esprimere le mie passioni”.
Reggio Calabria, la sua città. Ritorna spesso qui? La trova cambiata?
“Mi piacerebbe tornare più spesso, magari per workshop o collaborazioni con l’Università, per condividere le mie conoscenze ed aiutare, se posso, la città a trasformarsi. Non dimenticando che le trasformazioni di un luogo avvengono solo se le persone hanno una mente aperta, al cambiamento.
Io dico che l’inizio è far scoppiare la “bolla di sapone” in cui si vive. Penso al progetto di Zaha Hadid per Reggio: oltre che per le ripercussioni sull’economia della città, finalmente la porterebbe sulla “Grande Mappa dell’Architettura mondiale”.
Tornerebbe a lavorare In Italia?
“Non vivo dentro una bolla di sapone!” (ride).
A quali progetti sta lavorando adesso?
“Il progetto di Manama continua, ma sto anche terminando l’idea di un grande parco, lungo un kilometro, all’interno di un progetto urbanistico per innovativi villaggi-giardino pronti a realizzarsi nel Regno Unito. Il parco sarà semplicissimo e verrà creato con piante e alberi del luogo, secondo l’approccio sostenibile che connota Aecom”.
Ha lavorato a tanti progetti di parchi (l’Oxygen Park Doha), piazze, strade urbane (QPR Qatar Public realm, nuove strade per il Qatar/ Saadiyat Expressay), Centri commerciali (Westfiel White City London) e waterfront. Ma c’è una idea a cui tiene e che ancora non ha realizzato?

Tante idee e tante storie. What’s next?
“Beh, solo questo: rinnovarsi, per continuare a crescere. Whatch this space!”.