
E di fili, quelli con i quali producono, modificano o recuperano lavorando sui tessuti, se ne intendono le donne che al civico 53 di via Possidonea di Reggio Calabria, animano la sartoria nata dall’esperienza dell’omonima coop presieduta da Giusy Nuri che, insieme all’associazione “Agape” guidata da Mario Nasone e alla consigliera di parità della Provincia Daniela De Blasio, le ha sottratte a solitudine, violenze e diritti negati. Sono loro, insieme ad una rete di soggetti istituzionali e sociali, ad essere state le protagoniste di un progetto, cioè quel “ReActionCity Women” generato dalla più ampia tattica permanente di innovazione sociale urbana “ReActionCity”, portata avanti dalla professoressa Consuelo Nava e dall’associazione “Pensando Meridiano”, che ha dimostrato come anche in riva allo Stretto e nel resto della Calabria sia possibile una tale impresa. E come da esso, l’esperienza di “SoleInsieme” ne è dimostrazione, possa scaturire un vero e proprio filone dallo straordinario impatto in termini di partecipazione civile, aggregazione sociale, diffusione di conoscenza, pratiche innovative, lotta alla ndrangheta e sviluppo economico ed occupazionale.
L’immobile, a pochi passi dal Castello Aragonese, era di proprietà del cosiddetto “Re dei videopoker” Gioacchino Campolo e, dunque, era un luogo di illegalità. Ed anche di degrado. L’immobile, che ospitava una bottega, si caratterizzava per cattive condizioni igieniche, presenza di scarti ed abusi edilizi. Ma dal progetto, partito con un protocollo d’intesa firmato nel novembre 2014, quel sito è diventato luogo di giustizia e di bellezza. A renderlo tale, a partire dal gennaio 2015, con l’inizio dei lavori, riscattandolo in maniera innovativa e sostenibile ed aprendolo alla città in modo partecipato, è stato un network composto da “SoleInsieme”,”Agape”, “Pensando Meridiano”, Provincia, Comune, Tribunale, Casa circondariale, Confindustria e Confcommercio (issuu.com/pensandomeridiano/docs/08_022016_reaction_woman).

«Inizialmente si era generato un equivoco. Alcuni venivano in sartoria per beneficienza, ma col passare del tempo si sono capite la professionalità e la qualità del nostro lavoro e si è creata una clientela fidelizzata. Siamo apprezzati per cosa sappiamo fare e per cosa facciamo, non c’è solo la nostra storia e il consumo etico. Perché ci teniamo alla qualità di quello che facciamo. Insomma, abbiamo superato lo scetticismo iniziale, ci abbiamo sempre creduto. E ormai siamo compresi come una vera e propria impresa. Impresa sociale, ma sempre impresa. E al femminile».

Donne che, dal 2014, all’interno della rete “Madri in difficoltà”, hanno trovato la forza di reagire alle difficoltà della vita, di fare squadra e di mettersi in gioco da protagoniste, prima nell’ambito delle pulizie, poi in quello dell’assistenza domiciliare agli anziani e, infine, adesso, soprattutto, in quello sartoriale. E che non solo sono abili con filo, ago, forbice, metro e macchina da cucire, capaci di realizzare ogni tipo di abito (anche costumi di carnevale o da danza), di recuperarne con i classici interventi di sartoria (orli, cerniere, eccetera), di comporre tende ed altri elementi d’arredo (come lampade o coperture di divani e poltrone), di inventare e produrre originali gadget (pochettes e coccarde di nascita come esempi) e la prima collezione tessile estiva di “SoleInsieme” caratterizzata da borse in stile “navy” e colorati parei acquistabili anche presso “Le Botteghe delle Terre del Sole” in via del Torrione 89. Ma anche di dare un grande contributo civile, basti pensare ai momenti di formazione e ai tirocini organizzati per giovani ed altre fasce deboli, come quelli di taglio e cucito, e ai rapporti instaurati con realtà associative e scolastiche, sia nel promuovere questa esperienza che nel collaborare per altri progetti di innovazione sociale. E di dar vita ad una vera e propria famiglia, dove tutte paritariamente si sentono parte di un progetto e responsabilizzate dal loro ruolo all’interno della cooperativa, così come principali interpreti della loro vita attraverso la possibilità di realizzarsi dentro di un positivo contesto lavorativo e sociale.
«Il nostro è un progetto ampio e a lunga durata. Andando oltre l’assistenzialismo, consapevoli del problema occupazionale amplificato per queste donne, ma forti del nostro progetto, pensando a fasi, ci siamo posti degli obiettivi, ce l’abbiamo messa tutta e li abbiamo raggiunti. Ed altri ce ne stiamo ponendo per il futuro.

Dall’esperienza di “ReActionCity Women” è emerso un nuovo approccio relativamente ai beni sequestrati e confiscati alla ndrangheta, cioè quello di recuperarli e valorizzarli in modo innovativo e partecipato e andando oltre la loro dimensione “sociale” di un gruppo per toccare quella “collettiva” della comunità territoriale. A testimoniarlo due esempi. Cioè “ReActionCity Challenging”, strategie ed azioni attraverso una mappatura di alcuni beni della Locride elaborata da “Pensando Meridiano”, locale “Caritas”, “Libera” nazionale e “Progetto Policoro” (www.pensandomeridiano.com/reaction-challenging).
Ed anche la “Fabbrica urbana dell’innovazione e della creatività”, la cosiddetta “FabCity”, che “Pensando Meridiano” e “Reboot” vogliono realizzare a Reggio in un capannone confiscato allo stesso Campolo in località Calamizzi, da bonificare da scarti ed amianto e trasformare in “hub” urbano riferimento per giovani, studenti, gruppi e tutta la cittadinanza per cultura, formazione, ricerca, impresa, sostenibilità, promozione sociale e territoriale (https://www.pensandomeridiano.com/fabcity).