Il Museo del Bergamotto si trova nel cuore del centro storico di Reggio Calabria. Ricco di storia, di testimonianze, di foto, di attrezzi e macchinari rudimentali di cui i contadini si servivano. È un luogo dove si rivivono atmosfere passate.
Un posto che sia i cittadini sia i turisti dovrebbero visitare. Francia e Inghilterra hanno costruito un vero indotto economico con il bergamotto utilizzandolo per le caramelle e il tè. Ma è uno dei prodotti calabresi, a differenza della cipolla di Tropea, del Cedro di Santa Maria, della ‘nduja di Spilinga a non avere l’IGP. Vittorio Caminiti, imprenditore e Presidente del Museo del Bergamotto, ha risposto ad alcune domande sul famoso agrume che traina l’export agroalimentare della provincia reggina.
Lei è un imprenditore del settore dell’ospitalità alberghiera e della ristorazione. Quando nasce il suo interesse per il bergamotto?
«Intorno al 1992/1993, si sentiva parlare del bergamotto quando non era ancora conosciuto l’uso alimentare, ma era utilizzato per la cosmesi, la profumeria, non da ultimo come igienizzante e diserbante sulle piante. Era diffusa la notizia che fosse tossico, lo sconsigliavano, ho subito forme di linciaggio nel momento in cui ho cominciato a parlare dell’uso gastronomico. Per cui mentre in Calabria e in Italia non se ne parlava, in Francia e in Inghilterra facevano grossi business. In Francia le caramelle di Nancy hanno ricevuto l’IGP come “Bergamote de Nancy”. Nancy è una città che esporta i suoi prodotti in tutto il mondo e sono riusciti a creare una griffe su questi, c’è chi colleziona le scatole di caramelle».
Quale è stato il primo prodotto ad uso alimentare a base di bergamotto?
«Il bergamino. Franco Romeo architetto e proprietario di un noto locale lo ha realizzato. Io sono imprenditore alberghiero e quando venivano i turisti lo assaggiavano, i reggini invece no. Ciò è accaduto perché c’era una radicata credenza sul territorio: si pensava che il bergamotto non fosse commestibile. Io ne ho promosso l’utilizzo nel campo della ristorazione, abbiamo poi vinto numerosi premi. Ricordo che al “Bergafest”, nel 1999, abbiamo realizzato una torta al bergamotto ma nessuno voleva assaggiarla perché temevano di sentirsi male».
Oggi invece è un prodotto conosciuto, apprezzato e utilizzato.
«Nell’ultimo decennio le cose sono cambiate, anche perché abbiamo coinvolto moltissimi personaggi famosi del mondo della gastronomia. Grandi chef sono venuti a Reggio, hanno conosciuto il prodotto, così poi lo hanno promosso nel mondo. La Comunità Europea lo bandiva, ma in realtà bandiva l’olio essenziale per l’uso alimentare, è come un pesticida. La storia sul bergamotto ha antiche radici, già gli egizi utilizzavano l’olio di bergamotto per mummificare. I nomi delle più importanti famiglie sono legate al bergamotto. I Florio sono diventati una potenza mondiale per oltre 100 anni, si sono arricchiti creando aromateria. I proventi di poche gocce di olio essenziale bastavano per pagare una giornata di lavoro agli operai. I proprietari avevano capito il valore di quest’agrume e lo esportavano, i migliori profumi del mondo se non avevano il bergamotto, non potevano essere considerati tali. Quando gli operai stavano male o morivano le cause si imputavano al bergamotto. Invece, durante la spagnola le case vennero igienizzate con quest’agrume e Reggio si salvò dall’epidemia. Ora ci sono ora diversi esperimenti che ne testimoniano l’utilizzo in ambito psichiatrico perché è un antidepressivo, l’odore è un ottimo rilassante, sollecita l’estro e la creatività».
Nel mercato digitale l’agroalimentare ha creato un indotto intorno al bergamotto?
Io ho un’azienda che è arrivata a produrre 150 prodotti come la ‘nduja di pescespada al bergamotto che è una bomba nutraceutica, l’amarotto il primo amaro al bergamotto, il condimento balsamico al bergamotto che al contrario dell’aceto non ha acidi. Certo a Reggio non c’è un’industria come quella dell’earl grey tè, il più costoso, conosciuto e apprezzato nel mondo che è aromatizzato al bergamotto. I francesi hanno prodotto anche le macaron al bergamote de Nancy hanno un aspetto simile ai nostri dolci alla pasta di mandorle. Anche nella coca cola una delle basi segrete con molta probabilità è il bergamotto, non lo diranno mai in quanto la ricetta è appunto segreta. Il problema è che non si sa dove prendono il bergamotto, perché non abbiamo una produzione eccessiva».
Tutto il mondo si è arricchito grazie al bergamotto ma non Reggio Calabria. Perché?
«Perché nessuno è profeta in patria. Non c’è un’industria vera e propria delle confetture, dei liquori, ci sono tante piccole aziende, ma nessuna è riuscita a emergere, non investono in ricerca e sviluppo. Un altro errore è la diffusione di bergamotti verdi, chi li diffonde attratto da proventi immediati, sta distruggendo il mercato. Quindi i produttori li raccolgono verdi perché altrimenti l’olio non è buono, i più calibrati li mettono sul mercato degli agrumi, ma sono acerbi. Quando vengono i turisti qui, ultimamente, non vogliono assaggiare i prodotti al bergamotto perché dicono che non è di loro gradimento. Questo effetto si crea perché le persone comprano bergamotti crudi, il succo è acerbo, se lo diluiscono non ha gli effetti benefici che si aspettano, per esempio, per guarire il colesterolo. Il business lo fa chi trasforma i prodotti. Un chilogrammo di olio essenziale è arrivato anche a costare 200 euro, in profumeria ogni chilo di olio essenziale produce 20 mila euro di introiti, le foglie dell’earl grey tea, per esempio assorbono i profumi di poche gocce».
Di cosa c’è bisogno per promuovere il bergamotto. Il covid ha inciso su questo tipo di mercato?
«Il covid ha inciso sulla commercializzazione dei prodotti, i ristornati che usavano la liquoristica non ne hanno acquistata, gli alberghi, che usavano prodotti per la colazione, si sono fermati, le persone sono state costrette in casa e non hanno acquistato profumi. Per la pandemia ovviamente alcuni segmenti di mercato si sono arrestati. Mancano le leggi e i regolamenti, mentre i francesi si sono fatti certificare la bergamote de Nancy, ma come è possibile che ci sia il bergamotto di Nancy, se esiste solo quello di Reggio Calabria? È vero che il nostro olio essenziale è il più famoso, ma lo producono anche altrove. Moltissimi lo comprano altrove, non ci sono certezze sul bergamotto che utilizzano, è probabile che usino l’olio essenziale cinese o californiano. L’ultima legge, del 2001, certifica solo l’olio essenziale come DOP, ma non certifica e non tutela l’uso in gastronomia, la DOP nei prodotti alimentari non esiste».
Cosa serve?
«Un IGP perché non c’è una legge che tuteli il bergamotto, come per la cipolla di Tropea, il cedro e altri prodotti che hanno un’indicazione geografica protetta».