L’enologia: settore in continuo sviluppo, la cui crescita è divenuta, soprattutto negli ultimi anni, un traino altamente significativo per l’economia del nostro paese anche in termini di esportazione.
I risultati di tale successo vanno ricercati nelle peculiarità dei vini, i quali riescono a sposare antiche competenze a tecnologie moderne, esaltando le caratteristiche e le tipicità dei territori in cui vengono prodotti. E il vino calabrese non fa eccezione, grazie all’impegno di quelle piccole e medie imprese che fanno dell’artigianalità e della scelta di uve locali il loro punto di forza. Ne parliamo con Franco Tramontana, della casa vinicola Criserà, una realtà che opera nel settore sin dalla fine del 1800 e che oggi, seguendo la tradizione con una certa attenzione al progresso, è presente sul mercato con una variegata gamma di vini, alcuni dei quali hanno ottenuto premi e riconoscimenti nazionali ed esteri: tra i più recenti miglior vino novello del Meridione per l’annata 2018 e il ‘5 star wine award’ al Vinitaly.
I vini che producete sono espressione del territorio. Quanto conta questo legame nella creazione del prodotto?
“Questo tipo di legame è stato, è e sarà sempre basilare per la nostra produzione. Presentando vini in tutto il mondo, infatti, non possiamo che veicolare, attraverso di essi, il territorio e le sue caratteristiche. Si tratta di un binomio fondamentale in quanto cerchiamo di far conoscere tramite il vino, i profumi, i colori, l’essenza dei nostri luoghi e, di rimando, la nostra terra dona al vino le sue peculiarità che, con tali premesse, non possono che essere uniche e quindi non standardizzate”.
In cosa consiste, materialmente, il rapporto tra il vostro vino e la terra cui ha appena fatto riferimento?
“Vi è una sorta di linea poetica in questa liason. Noi, ad esempio, chiamiamo ‘vini del mare’ quelli che nascono dai vigneti che insistono sulla Costa Viola, coltivati in terrazzamenti sostenuti dalle ‘armacìe’, i secolari muretti a secco. Qui le uve risentono molto della vicinanza del mare: basti pensare che la rugiada, soprattutto in estate prima della vendemmia, le bagna al mattino e quando il sole le asciuga, rimangono depositati sui grappoli i sali minerali che conferiscono un aroma particolare al frutto e quindi al vino. Inoltre, uno dei vini più rappresentativi della nostra azienda, che riscuote tanto successo in tutto il mondo, è ottenuto da uve autoctone e tradizionali quali il nerello calabrese e il sangiovese”.
Quanto è difficile mantenere il giusto equilibrio tra tradizione e innovazione tecnologica?
“Grazie alle nuove tecnologie e ad innovative attrezzature di vinificazione riusciamo ad ottenere dei vini facilmente apprezzabili per gli appassionati dai gusti più moderni, e delle note e dei profumi che riescono ad essere ancora di più espressione del nostro territorio. Ovviamente nessuna macchina o invenzione nel campo, potrà mai discostarci dagli impianti ad alberello a secco, perciò non irrigati, e dalle varietà delle uve tradizionali che utilizziamo sempre quali, appunto, nerello calabrese, sangiovese, o ancora prunesta, malvasia rossa, greco e guardavalle. La nostra strada è indirizzata, storicamente, ai vini ad indicazione geografica tipica che vengono realizzati con un bouquet caratterizzato da una tradizione millenaria, discendente dai coloni greci, che si è mantenuta nei secoli adattandosi perfettamente al microclima, al territorio, al terreno”
Se dovesse descrivere le qualità artigianali che caratterizzano i suoi vini, quali aspetti metterebbe in risalto?
“Oltre alla manualità che deve necessariamente, oggi, abbinarsi ad una certa innovazione, credo che sia la tradizione a mantenere determinati standard. Il richiamo al passato non è dato dalle tecniche che, per ovvi motivi, non possono essere quelle di chi ha avviato la nostra azienda, bensì dal trattamento dei terreni scevri da lavorazioni dannose, dai luoghi di produzione, dalla tipologia delle uve utilizzate. Abbiamo conservato in toto le tecniche di coltivazione, mantenendo semplicità e genuinità”
Come si posizionano i vini calabresi e reggini oggi sul mercato?
“Sicuramente hanno acquisito un’importante dignità sul panorama nazionale, conquistando una buona fascia di mercato che non riguarda solo i nostri confini, ma si espande verso l’estero dove i calabresi, sparsi un po’ in tutto il mondo, ci tengono a mantenere anche attraverso il cibo ed il vino un contatto costante con i loro luoghi di origine. Sarebbe significativo, nell’ottica di tale crescita, che alla qualità sempre più alta dei nostri vini, si abbinasse una maggiore opera di promozione che venga effettuata anche dagli esercenti del territorio affinché pongano un’attenzione in più offrendo all’utente e all’estimatore, a maggior ragione se turista, i prodotti locali, così come già fanno altre realtà regionali. Ciò potrebbe garantire un indotto più imponente perché attraverso la conoscenza si veicola la produzione nostrana, l’agricoltura incrementerebbe il suo fatturato, le aziende comincerebbero ad espandersi, avrebbero maggiori risorse da investire nei circuiti del turismo enologico ed enogastronomico e potrebbero creare ulteriori posti di lavoro”.
Esiste un vino ideale?
“A prescindere dai gusti personali, sicuramente quando si pensa ad un vino in grado di soddisfare parametri precisi, sarebbe opportuno che questo sia ‘morbido’, con tannini equilibrati, un po’ amabile e che conservi una buona genuinità garantita da uve sane e particolari”.
Progetti futuri?
“Ultimamente ci stiamo concentrando per arrivare alla produzione di vini frizzanti e spumanti così da coinvolgere un pubblico più giovane il quale trova un’attrattiva maggiore verso il comparto cosiddetto ‘delle bollicine’”.