Le condizioni di disagio sociale in cui oggi versa il Mezzogiorno (confermate dagli indicatori statistici più affidabili) e il forte divario di sviluppo Nord-Sud che connota negativamente l’Italia in Europa hanno radici nel fallimento del decennio di lotte per la terra (’43-’53) che,
dopo aver visto per la prima volta le masse contadine entrare nella storia contro il latifondo, ebbero come epilogo l’addomesticamento della riforma agraria, l’agevolazione della grande proprietà e l’esodo biblico dei meridionali o le cause della “questione meridionale” sono molte altre? Tutto, da quando si è “scelto” di fare del Nord il cuore economico del Paese con la complicità delle classi dirigenti meridionali, per il Sud italiano è drammaticamente peggiorato e la stessa Cassa per il Mezzogiorno ha significato esclusivamente dispendio di risorse e l’affermarsi di un’industrializzazione senza sviluppo, oppure il Mezzogiorno ha potuto giovarsi dell’intervento pubblico? Sono alcuni interrogativi che hanno animato la conversazione suscitata dal libro “L’Ape furibonda” (prefazione Susanna Camusso) scritto da Claudio Cavaliere, Bruno Gemelli e Romano Pitaro con cui il “Progetto Gutenberg” ha inaugurato a Catanzaro (nello scenario incantevole del Lido Valentino a Giovino) gli incontri estate-autunno. La vita delle travolgenti undici donne raccontate dal libro e vissute tra l’800 e il “Secolo breve” sono state l’occasione per discutere a fondo del Mezzogiorno e della Calabria, giungendo alla conclusione che fra le innumerevoli criticità che acuiscono nel Sud le diseguaglianze sociali e la fuga di cervelli, tuttavia non difettano le iniziative di pregio, i talenti e le eccellenze, né mancano aree dai tratti innovativi e che, insomma, la speranza di riscatto non è perduta. Anzi, proprio guardando al coraggio delle undici donne che sfidando contesti storici difficili hanno “fatto” la storia, la speranza va coltivata, sorreggendola con un controcanto che faccia giustizia dei pregiudizi antimeridionali tesi a spiegare il ritardo di sviluppo del Sud con l’incapacità antropologica dei meridionali a misurarsi con la crescita e lo sviluppo. Operazione di archeologia umana, il libro, oppure libro di storia e, insieme, di passioni individuali e collettive, perché le “api furibonde” non sono mai state imprenditrici di se stesse, ma hanno condiviso le ansie, i bisogni e i sogni del loro tempo.
Il dibattito, coordinato dalla giornalista Chiara Fera e introdotto dal presidente dell’associazione Gutenberg Dino Vitale, è stato animato dalle riflessioni della giornalista Ida Dominijanni che si è confrontata su aspetti specifici del libro con Claudio Cavaliere e Romano Pitaro, da Matilde Fittante dell’Università Magna Grecia, Mary Critelli del direttivo dell’Udi, Rosetta Alberto dirigente del Musmi e Roberta Gallo, vicepresidente del consiglio comunale della città. Il vice sindaco di Catanzaro Ivan Cardamone (assessore alla cultura) si è soffermato sulla figura di Giuditta Levato, simbolo tragico del decennio di lotte per le terre, uccisa a Calabricata e seppellita nel ‘46 nel cimitero di Catanzaro (essendo morta nell’ospedale). Ha detto: “A 72 anni da quella tragica fine è con commozione che annuncio - visto che non è stato possibile rinvenirne la tomba, poiché negli anni e con l’autorizzazione dei famigliari le sue ossa sono state spostate in un ossario - che il Comune di Catanzaro ha deciso di dedicarle un cippo commemorativo. Cosi da avere, dopo oltre sette decenni, finalmente un luogo, una pietra con una foto e un epitaffio (“Giuditta Levato: martire del lavoro e fulgido esempio di donna coraggiosa”) dove offrirle un fiore. Va dato atto al libro L’Ape Furibonda di aver richiamato l’attenzione su Giuditta Levato e su quel tornante della storia del Mezzogiorno. Con Romano ne ho discusso a lungo e insieme abbiamo effettuato delle ricerche, recandoci più volte nel cimitero nella speranza di poter trovare il loculo. Nonostante sia passato tanto tempo, la figura umana e l’impegno sociale di Giuditta Levato continuano ad essere una lezione di protagonismo positivo della nostra gente per la crescita sociale e civile della Calabria. Vitale, in conclusione, ha voluto ricordare, a proposito dell’emigrazione meridionale, che “le migrazioni nella storia sono cicliche e che non bisognerebbe mai demonizzarle. Al contrario, vanno capite e governate con intelligenza e solidarietà. Colpisce, invece, che dei ministri della Repubblica si confrontino con il fenomeno migratorio quasi con astio e utilizzando espressione inappropriate”.